Giovedì, 28 Marzo 2024

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Un decano d'Ales redentore di schiavi cristiani in Barberia sul finire del Cinquecento

  • Scritto da Ciro Manca
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Sul finire del Cinquecento, ad Algeri, agirono successivamente due missioni, organizzate dalla Compagnia del Gonfalone di Roma allo scopo di redimere e manibus infidelium i cittadini dello Stato Ecclesiastico schiavi di quella reggenza barbaresca (1). Dell'una e dell'altra, tra il febbraio del 1585, fece parte Giovanni Sanna, un prelato sardo qualificato decano della Chiesa d'Ales e vescovo d'Ampurias (2); il quale, pur impegnato a operare in nome e per conto del Gonfalone, era autorizzato a riscattare autonomamente gli schiavi sardi presenti in Barberia (3).

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Sisto V riscatta schiavi

  • Scritto da Casimiro Tempesti
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prigionieri

Di papa Sisto V, della tempestività dei primi provvedimenti intrapresi per la redenzione e il riscatto degli schiavi cristiani, dell'autorità morale e del prestigio internazionale di cui godeva sin dall'inizio del suo pontificato anche presso i governanti islamici, riportiamo di seguito il racconto del p. Casimiro Tempesti.3

Il papa provvide per liberare dagli stenti e dal pericolo di negare la S. Fede molti schiavi cristiani, specialmenle i sudditi della S. Sede. Già Gregorio XIII aveva favorita in Roma una tale opera e ne aveva affidata la cura alla compagnia del Gonfalone; a Sisto piacque l'operato dal suo antecessore e motu proprio confermò quanto aveva già stabilito Gregorio, riorganizzando completamente la confraternita stessa, concedendole ampia ed esclusiva facoltà di deputare ministri per tutto lo Stato ecclesiastico per accettare e raccogliere elemosine da destinare al riscatto degli schiavi.

Ulteriori privilegi alla Compagnia del Gonfalone si leggono nella sua bolla Cum benigna, che si conclude esortando tulli gli ordinari dei luoghi a voler favorire un'opera così accolta a Dio. 
Egli stesso ne diede un chiaro esempio, degnissimo di riferirsi.

Assan Bassa viceré di Tripoli, dimorava in campagna con buon numero di soldati, con lo scopo di riscuotere a viva forza dai mori del paese quel tributo che non volevano di buon accordo pagare.

Gli schiavi cristiani, prigionieri a Tripoli, servendosi di questa occasione decisero di saccheggiare la città e quindi fuggirsene. L' idea fu concepita nella maniera che ora riferiremo. Siccome gl' infelici erano condannati ad andare ogni giorno lontano sei miglia dalla città per caricare sassi e por­tarli a Tripoli per la fabbrica del palazzo del vicere e sic­come i custodi del palazzo erano pochi e non in grado di opporre resistenza ed era aperto il magazzino ricco di armi  da  guarnire molte migliaia di soldati, così gli schiavi cristiani decisero per il sabato prossimo di carnevale, che ritornando come al solito carichi di pie­tre, di lapidare i custodi, poi armarsi nel magazzino, quindi fortificarsi nel palazzo contro la moltitudine del popolo, metterlo a sacco, e fatto il ricco bottino fuggire il più velocemente possibile.

La tela veramente era ordita bene; e se l'im­pazienza di un solo rivoltoso non avesse guastato l'ordito, il piano sarebbe andato a buon fine. Giunto il giorno prefissato, mentre una parte degli schiavi entrata nella città si avvicinava al palazzo, uno tra loro, al quale ogni ora di prigionia sembrava mille anni e impaziente di vedersi libero e ricco, alzò la voce gridando, libertà, libertà; e tutti al­lora seguitarono lo stolto grido libertà, libertà; i custodi allora serrarono in fretta il palazzo ed il magazzino gridando aiuto. Al grido d'aiuto la popolazione intervenne in massa e si scaglio impetuosa contro quei miseri; al primo urto ne uccisero centocinquanta, ne ferirono cento, e poco mancò che non li tagliassero tutti a pezzi, trattenuti solo dal proprio interesse.

Quelli che rimasero dal massacro, furono incatenati, passando dagli ullimi giorni di carnevale fino alla domenica in Albis una straordinaria penosissima quaresima, tanti furono gli strapazzi che sopportarono, ed ancora a più crudo scempio furono sottoposti poiché tornato il Bassa, fece scorticar vivo vivo uno di loro, due li fe­ce impalare, e sedici furono trinciati a furia di sciabolate, ma non in modo che le ferite fossero mortali. Tra   questi infelicissimi, vi erano tre sacerdoti, un cappuccino, un minore osservante, ed un prete Orazio Franchi di Pisa, già cappellano delle galere del Granduca; costoro, quando le ferite furono rimarginate, scrissero a Sislo V, e la lettera seppe così bene rappresentare le miserie loro, che mosso a compassione il pontefice vi impiegò molte migliaia di scudi, unendoli a quel sussidio, che allora aveva pronto per la confraternila del Gonfalone, alla quale diede l'incombenza di destinare alcuni padri cappuccini al loro riscatto. Ed egli promise ancora al padre cappuccino designato altre migliaia di scudi e ne mantenne la promessa; anzi ne promise tanti, quanti all'uopo sarebbero stati bisognevoli; gli conferì infine ampia facoltà spirituale, e nel rimanente si rimise alla prudenza e virtù di lui.

Eseguirono i religiosissimi padri tutto quello che fu comandalo loro da Sisto; ma siccome in Algeri, oltre agli schiavi i quali   ebbero la nota in Roma, trovarono molti giovanotti, donne e fanciulle in estremo pericolo di negar la fede, poiché a forza di minacce e di tormenti erano violentati al peccare, ed a professar la fede coranica, deliberarono di tentare la redenzione anche di loro. Ma poi­ché non bastavano le migliaia di scudi ricevuti in Roma dal Papa e dalla confraternita, esposero supplica di riscatto al Bassa, promettendogli pronto rimborso dal Papa. 
E sembra incredibile! Quel barbaro, alla semplice promessa fatta a nome di Sisto si contentò di aspettar quindicimila scudi, prezzo preteso da lui, e il nome di Sisto, e l'esem­pio della vita penitente dei padri riscattatori, servirono di sicuro pegno al medesimo, per lasciar gli schiavi subito in libertà, come racconta l'anonimo del Campidoglio.

Informatone Sisto, mandò quindici mila scudi, oltre il bisognevole per condurre in Roma gli schiavi. 
Carità, che piacque tanto anche agli uomini, onde al rife­rire dello stesso anonimo, fu celebrata sovra i pulpiti dell'Europa; e i duecento schiavi riscattati,  dell'uno e dell'altro sesso, entrarono in Roma indi quasi a due anni, nel 1587 accompagnali dai fratelli del Gonfalone, da folto popolo che andò loro incontro. Inteneriva quella comparsa, ma più movevano le lagrime del popolo romano il quale benediceva ad alta voce Sislo, chiamandolo il padre dei poveri. Furono alimentati in Roma per tanti gior­ni quanti bastavano ragionevolmente a visitare i santuari e soddisfare la devozione e poi essendo guidati dai confratelli a visitare processionalmenle l'immagine della Madonna in S. Maria Maggiore, furono presentati al cospetto di Sisto V secondo il tenore della nuova bolla già da noi riferita, dove baciarono il piede al Papa che vi tenea cappella essendo la domenica di Passione.Successivamente Sisto V offrì loro un buon pranzo e un congruo contributo per far ritorno al proprio paese, dal quale, alcuni mancavano da oltre quarant'anni.

L’opera di Sisto V a favore della squadra permanente della Marina Romana

  • Scritto da Alberto Silvestro
  • Visite: 17528

fotosilvestroPremessa

In altra sede sono state prese in esame le provvidenze di Sisto V a favore della marina e l'attività svolta dalla squadra permanente di base a Civitavecchia.(1)

A completamento di tali notizie, se ne forniscono ora altre al fine di ampliare il quadro di riferimento e di dare maggiori dettagli sull'opera di Sisto V in campo marittimo.(2)

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