Sabato, 27 Luglio 2024

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Prefazione

OMAGGIO A SISTO QUINTO
Contributo e confronto di un artista contemporaneo

 

Luciano CapriottiIl mio primo incontro con Sisto Quinto, al secolo Felice Peretti, risale all’età della mia infanzia e mi lega indissolubilmente al ricordo di mio nonno Fortunato e alle solide radici picene della mia famiglia. Mio nonno Fortunato, nato a Porchia, frazione di Montalto Marche (AP) nel 1893, a soli 16 anni il suo nome compare negli archivi di emigrazione di Ellis Island richiamato da un compaesano per lavorare nelle miniere di carbone del West Virginia, soldato di leva nella guerra di Tripolitania-Cirenaica dal 1914 al 1919, che gli valse in vecchiaia l’onorificenza di Cavaliere di Vittorio Veneto, si trasferì a Roma con la moglie e i figli negli anni 50, al seguito della grande immigrazione interna che contraddistinse gli anni del dopoguerra.
Era un muratore infaticabile ed esperto nella coltivazione degli orti e nell’arte di produrre vino cotto; anche un provetto giocatore di dama con cui trascorsi ore indimenticabili in tanti tornei e sfide casalinghe. Visse di sacrifici e di buonumore fino all’età di 101 anni!

“Adesso, si, mi sento proprio come un Papa Sisto!”, soleva dire con aria soddisfatta dopo il pranzo della domenica in compagnia dei suoi cari – beninteso non era un gran mangiatore, ma sapeva apprezzare la buona tavola nelle occasioni speciali, come chi è abituato giornalmente a pasti piuttosto frugali – ma dopo aver pronunciato questa frase, di solito dopo aver mangiato una mela come tradizionale conclusione di ogni suo pasto, non avrebbe assaggiato più neanche un boccone di qualsiasi altra leccornia, fosse stata anche la Regina Elisabetta in persona ad offrirgli una fetta di pudding (che poi è una specie di fistringo, ma meno buono!) “No, non insistete. Dopo la mela, basta!”

Si, ho sentito proprio da lui nominare Sisto Quinto per la prima volta e alla mia curiosità di bambino rispose un’altra volta: “Era un Papa delle parti nostre che ha fatto grandi cose ma i romani dicevano che era meglio avere un morto in casa che un marchigiano fuori della porta, perché pretendeva molte tasse”.

Quindi anche per colpa di Sisto Quinto la mia marchigianità genetica, rivelata fino al liceo dalla pronuncia aperta degli avverbi che finiscono per …ente (finalmènte, certamènte… ecc…ecc..), mi fece subire in diverse occasioni canzonature e spiritosaggini dai compagni che vantavano un pedigree di romanità   più solido del mio.   E così è nato il mio interesse per Sisto Quinto, la mia simpatia-antipatia per questo “Papa tosto” come lo definì il Belli in un memorabile sonetto.

Le opere presentate in questa mostra (dipinti, terrecotte, ceramiche, bronzetti, tecniche miste, acquerelli e collages) sono state per lo più realizzate a Roma, ma anche a Ripatransone, il cosiddetto Belvedere del Piceno, che ho eletto come “seconda patria” da più di dieci anni e considero un “luogo dell’anima”, dato che rappresenta in un certo qual modo un ritorno alle origini dei miei avi.
Apprendo da documentazioni storiche (recentemente confermate in una relazione della dr.ssa Donatella Donati Sarti, Presidente dell' Archeo Club di Ripatransone) che Papa Sisto non avrebbe nutrito nei confronti di Ripatransone un grande feeling (e sarebbe stato ricambiato dai Ripani con altrettanto tiepido sentimento) per avere privilegiato e favorito in maniera campanilistica la sua Montalto, oltre a Grottammare e Fermo, con ripercussioni amministrative e fiscali molto negative per Ripatransone.
Leggo inoltre in un articolo di don Vincenzo Catani, illustre studioso di Sisto Quinto, pubblicato nel recente volume “I doni di Sisto V alle terre del Piceno: un percorso nei musei sistini” Nardini,  2021) che in occasione di una delle tante visite a Montalto di Sisto Quinto fu preparato un sontuoso banchetto di benvenuto “con pane bianco di Porchia, capretti da Ascoli, uova e formaggi da Castignano, pesce fresco e arance da Grottammare, vino da Patrignone, zuccheri e spezie da Offida”. La mancanza di un contributo gastronomico da parte di Ripatransone mi sembra piuttosto eloquente (sic!)

Molte opere sono state ritrovate, rielaborate e restaurate (le più datate) ed altre aggiunte (le più recenti) appositamente per onorare il Cinquecentenario Sistino. Il percorso che ne deriva, mi rendo conto con una certa sorpresa, copre più di trent’anni della mia attività artistica e quindi, in un certo qual modo, rappresenta una piccola “antologica” del mio lavoro: dai dipinti degli anni ’90 (rielaborati recentemente in chiave “sistina”) alle terrecotte del duemila, fino ai bronzetti, alle tecniche miste e agli acrilici realizzati in occasione del Quinto Centenario.

L’ispirazione e l’emozione che le pervade sono un misto di ironia e di giocosità surreale nella rappresentazione dell’insigne personaggio: talora si è ricercato il tono scherzoso e quasi fumettistico nel rivisitare lo stemma di Sisto (le immancabili pere, la stella sistina, il leone che diventa un gatto più o meno sornione e politicamente scorretto, le inquietanti teste di leone antropomorfe prelevate dai braccioli di un famoso ritratto), tal’ altra si è approdati ad un clima più serio, talora tormentato ed esistenziale, una sorta di “Memento mori”. Insistente il sogno, il progetto visionario (estasi e tormento di Sisto Quinto!) dell’obelisco Vaticano finalmente “innalzato” al centro di piazza San Pietro, come un indice puntato in alto che ci ricorda il nostro mandato celeste.

La vita, la realtà che notoriamente ha sempre superato la fantasia, a pensarci su, si evolve e si risolve in un insieme di situazioni tragiche e comiche che si intrecciano e si rincorrono, con volubilità capricciosa. Ed allora ecco rappresentate, attraverso la metafora e la parabola di Sisto Quinto, l’ambizione, la ricerca del successo e del potere, la soddisfazione e i progetti utopici, l’apoteosi, la crisi, il pentimento ed il tormento, l’angoscia della morte e la speranza della fede, non solo del “papa tosto”, ma anche di tutti noi, protagonisti e vittime del quotidiano esistere. Spero che Sisto V, di cui apprezzo l’ironia e l’autoironia, ma soprattutto i suoi discendenti ed epigoni non abbiano ad offendersi e che nessuno lanci anatema nei confronti di chi ha trascorso non poche ore della sua vita artistica in compagnia di un personaggio tanto illustre.

Roma, novembre 2021

 

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