Papa Sisto V e le Rime dedicategli da Torquato Tasso
Ricorrenze
Per uno strano appuntamento della storia, nel XVI secolo, a Roma, si ritrovano alcuni tra i più grandi personaggi di tutti i tempi nei più svariati campi dello scibile umano.
Tra questi, brillano di straordinaria luce propria Felice Peretti (1521–1590), francescano (OFM Conv.), divenuto papa nel 1585 col nome di Sisto V, e il poeta, scrittore, drammaturgo e filosofo Torquato Tasso (1544–1595), che nelle sue opere canta le lodi sue e della famiglia Peretti di Montalto invocandone aiuto e protezione.
Il poeta sorrentino, infatti, dedicò al “papa tosto” alcuni tra i più bei versi della sua produzione; ciò avvenne in varie occasioni durante il pontificato quinquennale di Sisto V (1585–1590), e il suo desiderio più ardente fu per lungo tempo quello di riuscire a farsi ricevere, “baciare i piedi” a Sua Santità il Papa e ottenerne la “santissima e clementissima protezione”.
Questa profonda devozione, in parte dovuta alle complesse vicende umane di cui fu protagonista, Tasso manifestò, di volta in volta, anche verso altri potenti che sperava potessero cambiare la sua infelice e precaria sorte.
Nella lettera della primavera del 1588 che il poeta scrive direttamente al pontefice, esplicita chiaramente il suo ardente desiderio d’incontrarlo: “Io mi sono partito da Roma, non avendo ancora adempito un mio umilissimo desiderio di molt’anni, e quasi voto; cioè di baciare i piedi a Vostra Beatitudine, e chiederle grazia ch’io non sia reputato indegno soggetto della sua providenza, senza la quale sono lasciato in preda all’impeto de la mia avversa fortuna, come nave al vento e al mare tempestoso”, e in chiusura scrive ancora: “ed io, benché sia quasi picciol vaso a tante grazie, nondimeno mi resterò perpetuamente a Vostra Santità obligato”.
Tale obbligazione verso papa Sisto V e la famiglia Peretti Montalto, Tasso rispetterà a pieno tessendone le virtù, la determinazione, l’efficacia dei provvedimenti e dei progetti che il pontefice stava realizzando o aveva in animo di realizzare con le grandi opere pubbliche nella Roma Felix.
Di Felice Peretti Montalto quest’anno ricorre il quinto centenario della nascita, avvenuta a Grottammare, nel Piceno, il 13 dicembre 1521. Per tale ricorrenza sono in corso numerose iniziative – che si protrarranno sino al 2022 – per celebrare degnamente il grande papa marchigiano che in soli cinque anni di pontificato riuscì a cambiare il volto della Chiesa di Roma e della società del tempo.
Anche in riferimento a Torquato Tasso il 2021 costituisce ricorrenza importante. Infatti, l’11 marzo scorso, in occasione del 477° anniversario della nascita, il Comune di Sorrento ha ricordato il suo illustre concittadino con la deposizione di una corona di alloro nell’omonima piazza, presso la statua che raffigura il poeta.
Due storie che a distanza di circa mezzo millennio s’incrociano ancora e con piacere si ripropongono all’attenzione di cultori e appassionati, per eternare la loro memoria e le opere di ciascuno che, pur nella diversità di prospettive e obiettivi, contribuirono grandemente ad arricchire quel periodo storico straordinario che fu il Rinascimento italiano.
Le Rime per Sisto V
Fra i primi esempi di poesia encomiastica dedicata da Tasso a Sisto V ricordiamo “Or ch’i re da l’occaso o ver da l’orto” (A la santità di Sisto V pontefice massimo, [per l’andata Roma di don Cesare d’Este]; Rime, 1291), e “Questo vittorioso e santo Segno” (Al papa, ne la traslazione de l’obelisco; Rime, 1324), scritte prima che il poeta sorrentino si recasse a Roma nel 1587, in tempo per la nomina a cardinale di Scipione Gonzaga, che lo ospitava. In questa occasione, oltre ai versi dedicati all’amico, Tasso compone anche una lode al papa, “Rinovar l’opre antiche ond’ebbe il mondo” (Rime, 1386).
Nelle liriche composte durante i soggiorni romani, Tasso riserva al pontefice un linguaggio lirico, elevato, destinato a esaltarne le qualità prossime al divino. Il papa rappresenta la perfezione, è vicario di Dio in terra, dispensatore di luce, definito dal poeta “divino architetto” in riferimento all’intensa attività da lui svolta per riportare a nuova gloria la bellezza di Roma. Pregevoli, al riguardo, i sonetti “L’obelisco, di note impresso intorno” e “Cosí Morte di me l’ultime spoglie” (Rime, 1391 e 1427).
Tasso canta le lodi del pontefice scegliendo con cura le parole e le immagini da lui ritenute più consone a descrivere tale grandezza:
«Quante le stelle in ciel, in mar l’arene,
tanti son del gran Sisto i merti e i pregi»
(Rime, 1392)
***
«Tu dispensi non sol terreni onori
e le corone in terra,
ma le grazie del cielo e i suoi tesori
con quella stessa man che l’apre e serra.»
(Rime, 1389)
In quest’ultima canzone (“Come posso io spiegar del basso ingegno”) sono numerosi i riferimenti ai progetti e alle opere realizzate dal papa: l’Obelisco Vaticano, riposizionato in Piazza San Pietro con al di sopra una croce, e i lavori di urbanizzazione che interessarono alcune vie della città:
«come a te piace, o Sisto; e tu drizzando
gli obelischi a la Croce,
e lei sublime al ciel tre volte alzando,
fai tremar Babilonia e ’l re feroce.
E sette vie, dove pietà non falle,
drizzi a’ templi maggiori, e vi consacri
altari e simulacri;
e sentier più sicuro altri non segna
a l’eterno trionfo, e non l’insegna
già in via Sacra o ’n via Lata o ’n altro calle,
monte adeguando a valle»
(Rime, 1389)
Di rilievo le cinquanta ottave composte da Tasso nel 1588, “Te, Sisto, io canto, e te chiamo io cantando” (Rime, 1388), un lavoro lungo e impegnativo animato dalla crescente speranza che il pontefice gli accordi grazia e protezione, speranza destinata purtroppo a infrangersi. Curioso l’esordio, tipico dei poemi cavallereschi – come nella stessa Gerusalemme Liberata – in cui si dichiara di “cantare” il soggetto a cui l’opera si ispira.
Presumibilmente dello stesso anno è la canzone della natività “Per il presepio di nostro Signore nella cappella di Sisto V in santa Maria Maggiore” (Rime, 1677), che celebra le opere compiute dal papa nella chiesa di Santa Maria Maggiore.
Il componimento si chiude con l’encomio del pontefice:
«Sisto, la nostra mente al ciel solleva
con l’imagini sante, e i sensi interni
purgati, e l’alma dal terreno e grave
desta al maraviglioso ed alto suono:
però quasi umil dono
t’offre, canzone, il core e spera e pave,
ed invaghisce di que’ cori eterni,
a l’armonia soave,
anzi se stesso pur gli sacra e molce
al suon canoro e dolce:
poich’odori non ho, ch’io sparga o incenda,
o statue o spoglie d’or, ch’al tempio appenda.»
Giova ricordare, infine, la raccolta di liriche Tempio fabricato da diversi coltissimi, & nobiliss. ingegni, in lode dell’illust.ma & ecc.ma donna Flavia Peretta Orsina, duchessa di Bracciano. Dedicatole da Uranio Fenice, contenente opere di vari poeti e stampata a Roma nel 1591.
Dietro il nome di Uranio Fenice si cela in realtà Torquato Tasso, curatore della collettanea con cui il poeta omaggia, ancora una volta, la famiglia Peretti – quella di Sisto V – e nel contempo quella degli Orsini, di cui era entrata a far parte Flavia Peretti – dedicataria dell’opera – essendo andata in moglie a Virginio Orsini.
Del poeta di Sorrento sono contenuti nella raccolta alcuni componimenti incentrati sulla figura di Flavia Peretti e costruiti sulla metafora del Tempio, a cui si aggiunge la canzone dedicata alle sue nozze con Orsini (Rime, 1439-1446):
«Voi, che cercate pur da l’Austro a l’Orse
e ne l’occaso e dove appar l’aurora
le meraviglie onde risuona ancora
la fama che la terra e ’l mar trascorse;
in questo Tempio, di cui mai non scorse
occhio mortal piú bel, vedrete ognora,
quasi; in sua propria stanza, far dimora
quanto di bel natura a Flavia porse.
Qui s’onora virtute, onor si cole;
qui leggiadria, qui pure fiamme accende
casta bellezza, onde ’l pensier s’illustri.
Qui fra marmi e colori in or risplende
il nome vincitor d’anni e di lustri,
e ’l vivo simulacro e ’l vivo sole.»
(Rime, 1440)
La raccolta, commissionata dal pronipote di Sisto V, il cardinale Alessandro Damasceni – a cui il poeta sorrentino peraltro dedicò numerose liriche –, e pubblicata dopo la morte del pontefice, chiude il lungo periodo della poesia encomiastica di Tasso per la famiglia Peretti.