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Lotta al banditismo oltre confine

Negli ultimi anni del pontificato la politica spagnola cambia utilizzando il banditismo come mezzo di pressione politica sul pontefice, reo di non prendere posizione contro Enrico di Navarra

-Venezia concedeva il diritto di asilo a qualsiasi fuoriuscito da altri stati senza distinguere tra esuli per motivi politici o per delitti comuni. Sisto, tramite il suo nunzio, chiede al Senato che nessuna persona bandita dallo Stato della Chiesa possa risiedere in quello della Serenissima, impegnandosi di fare la stessa cosa con i fuoriusciti da codesta nazione, proponendo un trattato di riconsegna (estradizione) fino ad allora sconosciuto al diritto internazionale. Il nunzio non riesce ad ottenere nulla e allora lo stesso pontefice contatta l’ambasciatore Priuli (agosto 1585) ricordandogli che tutti i Principi italiani e la Spagna appoggiavano questa risoluzione, accondiscendendo che i fuoriusciti dallo Stato della Chiesa fossero arruolati al servizio di Venezia e spediti in luoghi lontani tanto da non poter rientrare facilmente. Inoltre richiede che una dichiarazione ufficiale venga pubblicata circa il rifiuto di asilo, anche se qualche rara eccezione verrebbe ammessa.

Queste posizioni più moderate vengono accettate dal Senato tanto che viene stipulato un concordato nel quale la Repubblica si obbligava a non accettare nel proprio territorio coloro che fossero banditi dallo Stato di Sisto V. Già otto mesi dopo (apr. 1586), l’ambasciatore veneto Giovanni Gritti, in una serie di dispacci inviati al doge, riferisce la soddisfazione del papa per la vantaggiosa cooperazione.

1587 6-giu. Il Papa contesta al Gritti il trattamento riservato al bandito Garzetta che, graziato per intercessione del duca di Ferrara, si vedeva commutare la pena da quella capitale a quella delle galere in terra veneta, mentre egli (papa) ne reclamava l’estremo castigo. (9- pag. 234-5)

Il granduca di Toscana, Francesco I de' Medici, pur accettando di collaborare in realtà continua a  tollerare i fuoriusciti nel suo Stato, sia perché questi potevano essere validi alleati nel momento del bisogno, sia per esonerare il suo granducato dalle intemperanze degli stessi. Il bandito Lamberto Malatesta non veniva sfiorato dalla giustizia del granduca  nonstante le proteste del papa, tramite l’ambasciatore toscano, vescovo Alberti e il suo nunzio e l’indisponibilità del cardinale De Medici a convincere il fratello.

Al che il pontefice stesso  invia una lettera al granduca con data 10 marzo 1587 (vedi appendice  34) chiedendogli rigore o almeno la possibilità di perseguire il bandito nel terrirorio toscano con le milizie pontificie.

Il giorno stesso, Sisto, dopo un concistoro nel quale denunziava l’inattività del granduca, gli intimava tramite l’ambasciatore Alberti di consegnare il Malatesta minacciando in caso contrario di impiegare “mezzi di costringimento”.Il granduca capitola e  il 26 giugno del 1587 arresta e consegna il bandito. Il Papa lo vuole vivo a Roma perché costui era sospettato di connivenza con gli ugonotti del maresciallo Lesdiguiers. Si ipotizzava una alleanza per una invasione protestante nello Stato della Chiesa ed il Malatesta doveva essere con la sua banda il punto di riferimento italiano. Il processo dura sei settimane e si conclude con la condanna alla decapitazione il 13 agosto.

04 mag. Viene decretata l'assoluzione generale per sostenitori e complici di banditi che avessero confessato le loro colpe davanti ad un sacerdote

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