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I
Acque, che per camin chiuso e profondo, E per vie prima ascose il pie movete, Poi nell'aperte dall' oscuro fondo, Quasi a mirare il Sol, vaghe sorgete; Appresso la città, che vinse il mondo, Ove il cipresso adegua omai la mete, Qual maraviglia uscir di loco angusto, E veder lei, come la vide Augusto
II Più bella in pace, che fra schiere ed armi, E d'altre imprese adorna, e d'altre spoglie, E d'altre colte prose, e d'altri carmi, D'edre, e di mirti, e di più verdi spoglie, Fuori sotto un grand'arco in varj marmi D'immagini diverse entro v'accoglie, Che simiglian bifolchi, e fere belve
Usciti di spelonca, e d'alte selve.
III Ruggir leoni al mormorar d'un fonte, Spargendo in larga copia i freschi umori, Diresti, e fuora l'acque a pie d'un monte , Far soave armonia vivi pastori, Pronti a cantare, ed a risponder pronte Siedon le Muse ivi tra l'erbe e i fiori, E pajono al tenor d'onde tranquille Tanti far versi, .quante són le stille.
IV Quante le stelle in Ciel, in mar l'arene,
Tanti son del gran Sisto i merti, e i pregi, Onde pure , e felici ; e ben conviene Ch'altri solo da lui v'appelli, e pregi, E che vi ceda il Tebro, e l'Aniene , Benché quello un nomò de'primi Regi; Ma cangiar nome alle famose rive Sepolcro e morte, a voi chi regna e vive.
V Voi sete quasi grazie, Acque correnti, Ch' egli comparte a questa nobil terra; Sisto, ch'insegna al Ciel le vie lucenti Sovra l'acque, che 'l Cielo in grembo serra, Fece per refrigerio a'giorni ardenti Le vostre più secrete ancor sotterra, Al popol suo, popol amato e caro, Di sue grazie non più, che d'acque avaro.
VI Anzi i popoli suoi, dilette gregge, Non lascia traviar con altra guida, Non lascia vaneggiar con altra legge, Non consente che'l lupo alcuno ancida, O'I ladro involi, ed ogni error corregge, Gli erranti a'paschi, a'fonti ei drizza, e guida ; Talché in felice mandra ha santa pace Semplice agnello, e vi riposa e giace .
VII Quasi cristallo sete, e quasi argento, Acque, o tesoro pur d'alma natura , E vi copre la terra all'aria, al vento, Al chiaro giorno, ed alla notte oscura, E porta mormoraudo [sic] a passo lento Nell'urne, che man dotta orna e figura, E 'n lor vi spande all'altrui voglia accensa Che ricchezze celesti ancor dispensa.
VIII Così la terra quinci, e quindi il Cielo Apre, per arricchir gli egri mortali: E mentre il caldo tempra al vostro gelo D'amor gli spirti infiamma, e scaccia i mali, E l’ empia morte : e con pietoso zelo L'anime estinte omai rende immortali De'pastori il Pastor, ch'alberga, e pasce , E lava con quell'acque, ond'uom rinasce .
IX.
Già s'aspetta più bello il secol d'oro
Di quel, che pria si finse, ed or s'adombra, Non perché larga, e senz'altrui lavoro Stia la terra, e l'agnello, e'l lupo all'ombra, Né l'angue abbia veneno, o. rabbia il toro, Ma perché la giustizia il mal disgombra : E quai rose vedrem d'ispide dumi, De' severi fiorir dolci costumi.
X E le bell'arti in pregio, e i chiari ingegni, E l'opre di famosa e nobil mano, catenato il furor , quieti gli sdegni, Come allor, che si chiuse il tempio a Giano; Talché ritornan di Saturno i regni, Mentre siede il gran Sisto in Vaticano ; Ma se'l nome di Sisto anco rimbomba, La mia sampogna agguaglierà la tromba.
T. Tasso, Rime
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