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L’opera di Sisto V a favore della squadra permanente della Marina Romana

Indice articoli


Pirati e corsari

Nell'alto medioevo si avverte la necessità di difendere il litorale del Patrimonio della Chiesa, esposto agli attacchi dei predoni marittimi come, del resto, quasi tutta la costa degli altri stati rivieraschi.

Non si tratta di un'esigenza nuova. Già in tempi remoti i pirati hanno portato offese a naviganti ed a popolazioni affacciantisi sul mare. In particolare, la loro attività è ricordata da Omero il quale, per di più, nei panni di Ulisse ci presenta un personaggio, sotto molti aspetti indubbiamente assimilabile ad un pirata.

Più tardi Roma deve fronteggiare pirati illirici, fenici e di altre estrazioni, che infestano tutto il Mediterraneo, soprattutto nelle zone ricche di ricoveri naturali, che offrono facile asilo alle imbarcazioni da preda.

Dopo aspre lotte riesce ad annientarli ed a stabilire pace e sicurezza nel Mare Nostrum. Si viene così a modificare radicalmente lo scenario abituale di questa area dove, fino ad allora, le genti della costa hanno scambievolmente recitato un ruolo attivo o passivo nell'attività predatoria.


Dopo la caduta di Roma la pirateria rifiorisce.

Prima di procedere oltre è bene soffermarsi sulla distinzione tra pirata e corsaro. Questi è un individuo che, in caso di conflitto o di tensione internazionale, riceve dai governanti del suo paese formale autorizzazione (patente o lettera di corsa) a correre il mare per condurre azioni di attacco e disturbo a navi ed installazioni nemiche. Anche navi appartenenti a paesi neutrali possono essere sottoposte ad ispezione e sequestro, se viene riscontrata la presenza a bordo di individui e beni destinati od appartenenti al partito avverso. Il corsaro è autorizzato a battere la bandiera nazionale ed a trattenere per sé parte della preda, ma è sottoposto alle leggi ed ai tribunali dello stato.

Se manca la lettera di corsa e non c'è uno stato di guerra o di frizione che giustifichi gli attacchi, le azioni di cui sopra s'intendono fatte per interesse privato e chi le compie è definito pirata.(3)

Sulla definizione così posta c'è ormai universale concordanza. In pratica, invece, distinguere un pirata da un corsaro è molto più ostico di quanto non sembri, perché uno stesso individuo agisce spesso sotto entrambe le vesti e quelle che alcuni considerano ribalderie da altri sono ritenute azioni eroiche.

Tra i pirati che maggiormente hanno imperversato contro coste e navi italiane ricordiamo i Saraceni ed i Barbareschi, insediati nel Mediterraneo occidentale, ed i Turchi, in quello orientale.

Secondo il Guglielmotti ed il Panetta, i Barbareschi non sono altro che pirati; secondo il Porena, il Bono, l'Anselmi, il Giacchero, il Tenenti ed altri, cui ci associamo, possono passare per corsari, solo limitatamente a certi periodi e circostanze; secondo molti autori francesi sono corsari, solo occasionalmente pirati, beninteso ad un livello non superiore a quello dei loro antagonisti cristiani.

In questa sede li denominiamo predoni, termine che non li differenzia nel campo delle motivazioni e che li accomuna, sia pure riduttivamente in alcuni casi, sul piano del raggiungimento dei risultati delle loro scorribande.

In pratica essi attuano una ridistribuzione forzosa e violenta di beni: schiavi, danaro, gioielli, naviglio, etc. Anticamente questa non era che una insopprimibile ed insostituibile forma di sopravvivenza delle comunità più povere. In epoca rinascimentale si trasforma in una vera e propria attività economica, con notevoli ripercussioni in campo politico. In essa le motivazioni di carattere imprenditoriale finiscono col prevalere su tutte le altre, pur senza cancellarle, nel rispetto di certe regole mutuamente accettate da sovrani e da naviganti.

Scorrendo le biografie dei più celebri personaggi di questo periodo si possono cogliere gli stimoli che li animavano: vendetta, ambizione, ritorsione, mire politiche, fanatismo religioso, spirito di avventura, etc. Ma su tutti questi sentimenti portati spesso all'esasperazione ed a forme estreme prevale l'interesse, proprio o della comunità di appartenenza.(4)

Si vengono così a formare delle consorterie plurinazionali e pluriconfessionali, come più tardi ed in altra situazione alla Tortuga, dedite allo sfruttamento delle risorse disponibili in mare, sulle coste e perfino nelle zone interne facilmente accessibili risalendo le vallate.

Ai medievali predoni saraceni, nel XV secolo in campo mussulmano seguono i barbareschi e i turchi. Dall'altra parte i cavalieri di S. Giovanni (o di Rodi o di Malta), quelli di S. Stefano, quelli dei SS. Maurizio e Lazzaro, gli uscocchi, i genovesi, i veneziani, i pontifici e gli spagnoli alzano le insegne della cristianità, senza però bandire rivalità commerciali e nazionali e brame di arricchimento. Più tardi arrivano predoni inglesi, olandesi e francesi.

Gli schieramenti non vanno intesi rigidamente: gli amici di oggi possono diventare i nemici di domani; la comune fede religiosa non costituisce un baluardo invalicabile; anzi, la diversa credenza non impedisce di stringere legami di amicizia politica e commerciale.

Anche sul piano delle forme di attacco, della strategia e dei mezzi impiegati esistono notevoli comunanze, in parte dovute al riciclaggio di uomini e navi a seguito dell'alternarsi di catture e liberazioni, in parte al fatto che i rapporti commerciali tra gli opposti campi continuano, più o meno intensi, anche durante il periodo cruciale della rivalità per la supremazia in Mediterraneo, non circoscritta al mare ma estesa alle terre circostanti, in particolare alla penisola balcanica ed al Maghreb.


L'attività dei predoni e della marina pontificia prima di Sisto V

Il rifiorire dell'attività predatoria, collocabile nell'VIII secolo d.C., è favorito dall'energica spinta espansionistica dei popoli dell'Islam. Installatisi in Sicilia, gli Arabi vi creano le basi per insidiare le coste italiane, dapprima quelle tirreniche meridionali, poi le altre, comprese quelle adriatiche.

Papa Leone IV cerca di coordinare ed indirizzare la volontà di riscossa delle popolazioni italiche: davanti ad Ostia, nell'849, le forze pontificie, unite a quelle della Lega Campana, sotto la guida di Cesario Console sbaragliano i Saraceni.

Dopo quest'episodio, nei secoli successivi, le azioni dei predoni continuano, più o meno violente e frequenti in relazione alla presenza in mare di forze decise a contrastarli, finché nel 1452 crolla l'impero bizantino.

In pochi decenni i Turchi creano una flotta formidabile, la più potente del Mediterraneo negli anni centrali del XVI secolo. Tra i fattori che contribuiscono alla crescita dell'impero ottomano come potenza navale accenniamo solo alla cacciata dei Mori dalla Spagna nel 1492. Tre milioni di persone s'insediano nell'Africa nordoccidentale portando con sé un bagaglio tecnologico, uno spirito d'iniziativa, un odio ed un desiderio di rivalsa che contribuiscono a potenziare notevolmente l'attività dei predoni barbareschi.

Con l'avvento al potere dei fratelli Barbarossa, nativi di Mitilene ed emigrati in Africa, gl'interessi dei predoni e quelli del Sultano trovano un punto d'incontro.(5)

Il Mediterraneo rischia di diventare un mare turco. La Spagna di Carlo V (Carlo I per gli Spagnoli) e di Filippo II, impegnata per terra e per mare per affermare la sua supremazia contro l'impero ottomano, in collegamento con altri stati opera diversi tentativi per battere gli avversari: coglie alcuni successi ma subisce pure umilianti sconfitte, fino a che le navi della Lega Santa non riportano la vittoria decisiva (ma non del tutto) a Lepanto nel 1571.

Dopo quella giornata la situazione subisce radicali cambiamenti. Ritiratasi quasi esclusivamente nel bacino orientale la flotta turca, tuttora aggressiva, per il fatto che la Spagna è maggiormente protesa in Atlantico per contrastare la minaccia di Inglesi, Olandesi e Francesi, i predoni rimangono padroni di operare dovunque, sia pure contrastati duramente dai cavalieri di Malta e da altri marinai cristiani.

Appoggiandoci alla notazione sintetica del Moroni, ricordiamo rapidamente i principali fatti concernenti la marina pontificia, la cui attività è stata diffusamente e minutamente descritta dal Guglielmotti.

L'appassionato frate domenicano ha indubbiamente sopravalutato l'effettiva importanza di questa componente navale, la cui presenza sui mari fornisce un nucleo centrale attorno a cui raccogliere le forze cristiane piuttosto che una forza capace di condurre da sola la lotta contro il nemico infedele, sia pur limitata alla difesa della costa e del traffico mercantile pontificio. Gloriosa certamente è la giornata di Lepanto, brillanti successi vengono conseguiti in altre circostanze, ma la supremazia mediterranea è una questione che in quei secoli non sfugge dalle mani degli Spagnoli e dei Turchi e, nei successivi, degl'Inglesi, degli Olandesi e dei Francesi.

Ad indiretta conferma di ciò, va rilevato che è difficile trovare cenni di azioni condotte dalle navi pontificie non solo in opere di largo respiro, come quella del Braudel o del Mahan, ma anche in altre di carattere più circoscritto, fatta ovviamente eccezione per quelle del Guglielmotti.

Ciò non ci pare giusto.

Nei primi secoli di vita dello stato pontificio le predisposizioni difensive, assunte prevalentemente in ambito terrestre, non hanno carattere organico. I provvedimenti adottati si limitano alla salvaguardia del litorale e degli obiettivi più esposti, senza che nulla venga fatto per togliere l'iniziativa agli avversari.

Dopo la caduta di Costantinopoli i papi si fanno promotori di varie iniziative contro i Turchi, divenuti una minaccia permanente per la sopravvivenza delle comunità cristiane.

Risale a quegli anni la nascita della flotta pontificia, voluta da Calisto III, consacrato nel 1455 e ben deciso a contrastare i Turchi con ogni mezzo. Egli fa costruire sedici galere, al cui comando pone il cardinale Ludovico Scarampi Mezzarota, col titolo di Legato Apostolico. Le unità pontificie partecipano, tra l'altro, alla difesa di Rodi, di Mitilene e di Scio.

Il successore Pio II bandisce una crociata contro i Turchi, ma non riesce nell'intento che si è proposto poiché il 14 agosto 1464 muore ad Ancona, quando ormai la squadra è pronta a salpare verso oriente.

Sisto IV continua la lotta contro gli ottomani con diciotto galere, affidate al cardinale Oliviero Carafa ed aggregate ad un'armata che conta anche 30 galere del re di Napoli e 56 dellla Serenissima, ma non ottiene rilevanti successi, a parte la presa ed il saccheggio di Smirne. Il papa vorrebbe costituire una flotta di 25 galere, ma il cardinale Giambattista Savelli, inviato a Genova con il compito di armare alcune galere e di ottenere l'ausilio di una squadra genovese con cui tentare il recupero di Otranto, non ha successo ed il programma non viene portato a termine.

Nel 1477 viene imposta una tassa per la costruzione di galere a difesa dell'Adriatico.(6)

Alessandro VI e Giulio II curano soprattutto la difesa dei litorali, con impiego saltuario del naviglio. Nel 1508 lungo la spiaggia romana i predoni catturano una galera delle guardie del papa.(7)

Leone X nel 1521 unisce le galere pontificie alla flotta di Carlo V per la guerra di Lombardia. Nel settembre del 1518 la capitana delle galere papali, comandata da Paolo Vettori, viene assalita e presa dai predoni nei pressi dell'Elba, insiema ad un'altra unità.(8)

Dalla Spagna, dove si trova al momento dell'elezione, Adriano VI si trasferisce a Roma su galere pontificie e fa allestire alcune navi per operazioni da svolgere insieme alla flotta spagnola.

Poco si può dire delle attenzioni di Clemente VII verso le navi, se non che nel 1533 si reca a Marsiglia su galere, francesi secondo il Moroni, papali secondo il Guglielmotti. Dal 1526 al 1527 a capo della flotta pontificia viene posto Andrea Doria, uno dei maggiori protagonisti delle guerre sul mare dell'epoca.

Paolo III istituisce gli ordini cavallereschi dei Lauretani e di S. Giorgio, con il compito di difendere le coste adriatiche ed il santuario di Loreto in particolare.

Grande gloria ottiene S. Pio V, grazie alla vittoria di Lepanto, cui contribuiscono validamente 1.500 militari pontifici guidati da Marcantonio Colonna, comandante di dodici galere e di altre navi minori del papa. Per assicurare la difesa delle basi marittime con galere spagnole S. Pio V rinnova un accordo con il re di Spagna.

Gregorio XIII cerca di rafforzare le difese costiere, sia con la costruzione di torri di guardia, sia imponendo ai cavalieri dei SS. Maurizio e Lazzaro l'obbligo di fornire due galere armate. Inoltre mantiene in linea 7 galere, sotto il capitano generale della Chiesa, Giacomo Boncompagni, suo figlio, il quale nomina luogotenente generale Marcantonio Zane. La Masia de Ros afferma che nel 1578 due galere pontiifcie vengono catturate nelle acque della Toscana da Murad.(9)

Siamo così giunti ai tempi di Sisto V, cui dedichiamo un apposito capitolo.

La squadra permanente della Marina Romana

"Forse taluno, leggendo le tante applicazioni di Papa Sisto alla marina, sarà tentato di pensare che egli non attendesse ad altro; o che di soverchio abbondi il discorso mio. Né il primo, né il secondo, signori miei. Né egli mancava. Né io esagero".(10)

Queste parole del Guglielmotti ci attestano con quanta serietà e responsabilità papa Sisto attendesse alle sorti della marina pontificia.

Egli nasce il 13 dicembre 1521 a Le Grotte, oggi Grottammare, su una collina dominante il mare Adriatico, uno dei principali castelli della città di Fermo. Il paesetto, raccolto entro le mura e sottoposto al castello, sovrasta l'arenile dove si svolgono le attività del porto, fonte di ricchezza ma anche di travagli. Infatti i predoni hanno portato, e continuano a portare scompiglio, danni e lutti nel paese.

Assurto al trono pontificale, Sisto V pone subito mano alla soluzione dei numerosi problemi che affliggono lo stato: strapotere dei briganti, spesso appoggiati e favoriti dai baroni; inefficienza delle istituzioni statali: finanze, giustizia, amministrazione, etc.; eccessiva debolezza nei confronti delle maggiori potenze temporali, soprattutto della Spagna.

Molteplici sono le iniziative ed i provvedimenti messi in atto e, se non tutti danno i frutti sperati, bisogna pur ricordare che il suo pontificato dura solo 5 anni e non tutti i risultati ottenuti possono essere consolidati prima della scomparsa del papa.

Per trattare i banditi del mare (i predoni turchi e barbareschi) alla stessa stregua di quelli di terra - ricordiamo i successi dell'energica azione repressiva del brigantaggio svolta da Sisto V subito dopo la sua elezione - è necessario disporre di navi in grado di operare secondo le direttive del pontefice.

Il primo provvedimento adottato è l'istituzione della congregazione navale, composta da cinque cardinali guidati da Antonmaria Sauli, cui viene affidato il compito di costruire, armare e mantenere in efficienza dieci galere. Segue l'ordine di costituire la piccola flotta. A tale scopo è necessario, prima di tutto, avere a disposizione mezzi finanziari adeguati, preoccupazione che si riscontra sempre nella condotta di Felice Peretti. Viene introdotta la tassa, detta delle galere di Civitavecchia, per raccogliere 102.500 scudi l'anno, a carico delle province dello stato, del clero, dell'ufficio del ricevitore delle spedizioni e dell'appalto dei sensali di Roma. A conferma della perversità degl'istituti fiscali, all'epoca del Guglielmotti la tassa delle galere continuava a dare il suo gettito quando ormai di galere non si parlava più da lungo tempo.(11)

Come base navale viene prescelta Civitavecchia, per varie ragioni: dispone di un ottimo porto ben riparato dalle avversità, fortificato e vicino a Roma; è sul Tirreno, più esposto alle scorrerie dei predoni di quanto non sia l'Adriatico, dove la pur declinante Venezia esercita ancora un'assidua e continua vigilanza; è ben fornita di cantieri e magazzini, prossima a foreste ancora ricche di legname. Di lì a poco sarà anche ben fornita d'acqua, grazie alla realizzazione di un acquedotto voluto dal pontefice.

Il numero delle galere, inizialmente fissato a 10, col tempo dovrebbe salire a 22 in quanto lo scopo dichiarato del papa è di difendere le acque e le coste dello stato dalla minaccia turca, in modo da ottenere e conservare la sicurezza per mare e per terra ricordata sulla medaglia impressa nel 1588 a ricordo dell'entrata in servizio delle prime cinque galere. In appendice 1 è riportato l'elenco di tutte le unità.

Si può ritenere che Sisto V, in realtà, una volta raggiunto il numero di 22, volesse portare un attacco diretto all'impero ottomano.(12) Non gli sarebbero certo mancati i fondi per un'azione del genere: più di 4 milioni di scudi erano custoditi in Castel S. Angelo, fonte di cupidigia e di sospetto per molti governanti europei.(13)

Il papa fa radunare nel porto di Civitavecchia le migliori galere in servizio sotto il suo predecessore, ma non le impiega.

Due delle nuove vengono costruite a Civitavecchia, la San Francesco e la Santa Ferma, che saranno le migliori e le più longeve delle 10.

Due, la Santa Barbara e la San Giorgio, vengono comprate presso privati, ma non danno buoni risultati. Dopo cinque anni vengono radiate.

La Felice e la Pisana vengono acquistate presso il granduca di Toscana.

La Santa Maria e la Santa Lucia vengono comprate a Genova, la San Gennaro a Napoli: tutte e tre completano l'allestimento e l'armamento a Civitavecchia.

La Capitana (San Bonaventura) viene costruita a Roma nello scalo della Marmorata, già sede di una fiorente attività navale ai tempi dei romani, protrattasi nel Medioevo ed oltre, fino all'epoca di Calisto III.(14)

Il varo dell'unità, dopo il completamento dei lavori che non hanno riservato sorprese, è previsto per il 2 aprile 1588. La San Bonaventura viene benedetta e battezzata quel mattino. Alle quattro del pomeriggio hanno inizio le operazioni di varo, che si concludono infelicemente perché la galera, poco prima di entrare in acqua, devia la corsa sulla destra, abbatte una travatura posta sul molo e riporta danni alle sovrastrutture.

Lapidario il Guglielmotti: "cinque morti, molti contusi, tutti spaventati. Più d'ogni altro afflitto Papa Sisto si chiuse in camera silenzioso ed inquieto, senza dare udienza a niuno per tre giorni".(15)

Le disavventure della Capitana non finiscono lì. Benedetta dal Papa il 21 aprile parte, ma lungo il Tevere s'incaglia e rimane bloccata vari giorni, fin quando il livello del fiume non sale grazie alle piogge ed alla conseguente piena. Può quindi raggiungere le altre unità a Civitavecchia e completare gli equipaggi con l'arruolamento di bonavoglia.(16)

Infatti, pur avendo posto al remo tutti i carcerati idonei ed aver acquistato a Malta 130 schiavi dopo ricerche su vari mercati, tra cui quelli di Segna e Fiume, dove affluiscono gli apprezzatissimi Morlacchi, vi sono ancora molti vuoti da colmare sui banchi.(17)

Infine gli equipaggi vengono completati. A metà giugno la squadra, comandata da Orazio Lercari, riceve l'ordine di partire.

Prima missione: dare la caccia ai predoni algerini di Assan Agà che nel maggio hanno saccheggiato Patrica e rapito 150 persone. Purtroppo per 15 giorni le condizioni metereologiche permangono avverse e la squadra è in grado di muovere solo a luglio per una crociera fra le isole dell'arcipelago toscano.

Il successo è limitato: viene catturata soltanto una galeotta con il suo equipaggio e con alcuni degli sventurati di Patrica. Prima di rientrare a Civitavecchia le navi sostano a Livorno, Marsiglia e Genova.

Sisto V desidera ispezionare la flotta e la base di Civitavecchia. Vi si reca il 22 novembre 1588. Decide allora di dotare la città del già ricordato acquedotto. Negli altri due giorni della dimora, "data a tutti la facoltà di parlare, papa Sisto attese al miglior ordinamento del paese e della squadra. Volle da sé vedere e giudicare e conoscere gli abusi, rimediare agli inconvenienti, udire i reclami, saggiare il biscotto, collazionare i registri, provvedere allo spedale e consolato nell'animo, tra lietissimi applausi, la sera del 25 tornossene a Roma."(18)

Nell'aprile dell'89 il Lercari, al comando della squadra, riprende il pattugliamento con tale successo che i predoni volgono la prora verso la Corsica anziché verso la costa romana. I Genovesi, allora padroni dell'isola, chiedono soccorso al papa ed al granduca di Toscana. Il Lercari pone base a Bonifacio, i Toscani a Bastia, i Genovesi a capo Corso. Dodici navi barbaresche, tra fuste e brigantini, vengono catturate a maggio, altre vengono messe in fuga.

Nell'agosto dello stesso mese, però, tre fuste tunisine dirette in Sardegna, ma ricacciate dal libeccio sulla costa romana, risalgono il Tevere e sorprendono due piccoli bastimenti da carico. Le difese terrestri non riescono ad impedire l'affondamento di uno di essi e la cattura dell'altro.

Attraverso le segnalazioni delle torri costiere la notizia perviene a Terracina, dove sosta il Lercari. Messosi subito in caccia, intercetta i predoni che preferiscono fuggire dopo aver abbandonato la preda.

Papa Sisto coglie lo spunto da questo successo per convocare l'ambasciatore spagnolo allo scopo di chiarire autorevolmente che la squadra romana, a prescindere dai brillanti risultati ottenuti, deve essere accolta onorevolmente nei porti napoletani. A giugno, infatti, si era verificato uno spiacevole episodio a Gaeta, dove il capitano della piazza aveva respinto le navi pontificie facendo puntare i cannoni.(19)

Il papa ottiene soddisfazione.

Nell'ottobre del 1589, in concomitanza con la visita del papa alle opere di bonifica delle paludi pontine, la squadra permanente incrocia nelle acque prospicienti per misura di sicurezza.(20)

Nell'aprile del 1590 il cardinale Sauli ed il capitano Lercari si dimettono dall'incarico e vengono rispettivamente sostituiti dal cardinale Domenico Pinelli e dal capitano Francesco Grimaldi.(21)

Il Guglielmotti ci ha tramandato copia degl'inventari delle dotazioni di bordo compilati in occasione del passaggio di consegne tra i luogotenenti.(22)

La prima missione affidata al Grimaldi è il trasporto di centomila scudi da consegnare al cardinale Enrico Gaetani, legato straordinario in Francia. Le navi partono a metà luglio, dirette a Marsiglia. Nelle vicinanze del golfo di La Spezia la squadra sorprende tre galere barbaresche, le cattura e le conduce a Genova, dove viene accolta con grande onore.

La notizia dell'impresa giunge a Roma quando le condizioni di salute del papa sono seriamente compromesse. Egli stesso vuole dare comunicazione del successo ai cardinali il 13 agosto. Il 27 di quel mese Sisto V muore.

Il Guglielmotti chiude la trattazione dedicata a questo periodo in tono polemico: "la squadra navale per fortuna in quei giorni trovossi da lungi a Marsiglia, altrimenti gli economisti e gli zelanti, che sempre ci sono stati, ci sono e saranno a darsi la mano contro ogni impresa generosa, nel primo fervore delle mutazioni solite dei governi elettivi, avrebbero mandato ogni cosa in perdizione. E vi sarebbero certo riusciti più tardi, se papa Sisto non avesse stabilito l'opera sua alla marina con tanta fermezza di ordinamento, di dote, di bolle, d'inventario e di governo che niuno più nei secoli seguenti poté darne il crollo: onde a noi nel libro seguente sarà concesso continuare nei nostri viaggi."(23)

L'azione di Sisto V nel quadro degli avvenimenti politici dell'epoca

L'attività della squadra permanente prosegue senza grandi mutamenti per circa vent'anni, pur fra traversie di vario genere. Nel 1611 si fa ricorso al contratto d'assento, già in uso a Genova ed in Spagna. In base all'accordo Francesco Centurioni riceve la somma di 63.000 scudi l'anno e, corrispondentemente, s'impegna a mantenere in efficienza cinque galere pontificie, assumendosi il carico di tutte le spese connesse e l'obbligo di navigare da aprile ad ottobre. Si rammenti che tradizionalmente, a quell'epoca, per buona parte dell'autunno e per tutto l'inverno si sospendeva ogni attività sul mare per non incorrere nel rischio di perdere le navi per la violenza del mare e dei venti. Nel caso di cattura di unità nemiche, il 25% della preda è riservato all'assentista.(24)

Durante il regno di Sisto V Spagna e Turchia, dopo continui e sanguinosi conflitti terrestri e navali per affermare la propria supremazia in Europa, si stanno avviando al declino. In particolare la Spagna avverte il logorio delle lotte altrettanto dure e sanguinose sostenute in Atlantico, nelle Fiandre e altrove contro Inglesi, Olandesi e Francesi. Conseguentemente è mutato il quadro in cui avvengono gli scambi commerciali mondiali. Il Mediterraneo già prima aveva perso gran parte della sua importanza economica e strategica e continua a perderne ancora. Per di più i traffici che vi si svolgono non sono più appannaggio esclusivo degli stati rivieraschi, perché Olanda ed Inghilterra se ne stanno rendendo arbitri.

Cessata la guerra di corsa praticata dai barbareschi e dai turchi negli anni cruciali della lotta per il potere in Mediterraneo, da una parte e dall'altra si pratica la pirateria in forma tanto redditizia da attirare anche i marinai del Nord Europa, che si schierano a favore dell'uno o dell'altro contendente solo in base a considerazioni utilitaristiche.

Anche il tipo di naviglio impiegato è in evoluzione.

Inglesi ed Olandesi introducono i vascelli a vela, da loro impiegati con successo in Atlantico. La superiorità tecnica, operativa e bellica di tali unità, nonché la difficoltà di reperire schiavi, carcerati e bonavoglia in quantità sufficiente a consentire l'attività delle galere, fa gradualmente accantonare questo tipo di nave, che per secoli era stata regina delle acque mediterranee.

Siamo negli anni in cui la Spagna di Filippo II, maggiormente protesa in Atlantico, cerca d'infliggere ad Inghilterra ed Olanda un colpo decisivo. L'imperatore chiede al papa sostegno materiale oltre che spirituale. Ottiene plausi, sussidi, esortazioni a sollecitare i preparativi e la promessa dell'elargizione di un milione di scudi a successo conseguito.(25) L'ammiraglio Bazan allestisce una grande armata navale, nota con il fatale nome di invincibile, ma muore prima di compiere l'impresa. Lo sostituisce il Medina Sidonia, che condurrà alla disfatta quella potentissima flotta, che tra le sue file include numerose navi ed equipaggi di Napoli e Sicilia. In concomitanza Alessandro Farnese avrebbe dovuto trasferire l'esercito dalle Fiandre in Inghilterra al seguito dell'armata.

Sisto, in effetti, è molto preoccupato dell'eccessiva potenza raggiunta dalla Spagna, e cerca di costruire un certo equilibrio di forze in Europa. Morto prematuramente Stefano Bathori, re di Polonia, cattolico e condottiero di brillanti qualità, molto apprezzato dal pontefice, tra i sovrani regnanti più ammirati da lui indubbiamente c'è Elisabetta I, ma è impossibile appoggiarsi a lei, irriducibile sostenitrice dell'anglicanesimo e da lui duramente condannata per il supplizio inflitto a Maria Stuarda.

La soluzione può scaturire solo dal conflitto per la successione al trono francese. Dpo aver colpito con l'anatema Enrico di Navarra ed Enrico III, Sisto non calca la mano, come auspica Filippo II, anzi mantiene rapporti diplomatici con il pretendente ugonotto il quale, raggiunta l'agognata corona regnante Clemente VIII, dà avvio alla ripresa della Francia, che raggiungerà il massimo splendore sotto suo nipote Luigi XIV.

Nell'ambito della lotta antipiratesca, il papa dà carattere d'organicità agli interventi dello stato ed istituisce la squadra permanente. Grazie alla continuità della sorveglianza esercitata lungo le coste tirreniche nelle stagioni propizie alla navigazione, viene sottratto agli avversari l'importantissimo fattore costituito dalla sorpresa. Dall'opera del Guglielmotti si traggono giudizi favorevoli sul raggiungimento dell'obiettivo.

In proposito non è fuori di luogo rammentare che, nei non lontani anni sessanta dello scorso secolo, la Guardia di Finanza italiana ha fatto ricorso ad una soluzione concettualmente analoga, con le ovvie differenze legate al mutare dei tempi, per mettere in atto un efficace contrasto al contrabbando marittimo. Vengono infatti costituiti due gruppi navali di manovra, il primo nell'ottobre 1959, il secondo nell'agosto 1960, operanti in mare aperto alla ricerca di navi fuorilegge, alla diretta dipendenza della centrale operativa del comando generale.(26)

Meno felice è la scelta del tipo di nave per formare la squadra permanente, anche se i risultati immediati sono apprezzabili. Infatti, come già accennato in precedenza, le galere sono ormai superate. Per di più alcune delle 10 sistine si rivelano poco affidabili e vengono presto radiate. Si direbbe che, in questo caso, sia venuta meno l'eccezionale preveggenza di Sisto V, che in altre circostanze gli ha permesso di precorrere i tempi. Non si deve dimenticare, però, che l'adozione delle galere, su cui vogano 2.250 rematori con un avvicendamento annuo oscillante tra il 30 ed il 50% a causa di morti, malattie, catture, etc., fornisce un notevole contributo alla soluzione di un problema d'ordine pubblico, sempre fisso nella mente del pontefice: la lotta alla criminalità per mare e per terra.

Per quanto attiene all'aspetto finanziario-amministrativo del problema, nulla si può onestamente addebitare al pontefice, a nostro parere. Le sue disposizioni a favore della squadra permanente sono ben studiate ed efficaci.

Tuttavia molti storici hanno portato e portano a sua colpa l'immobilizzo di grosse somme di denaro in Castel S. Angelo.

Non conosciamo le reali intenzioni del papa circa l'impiego degli oltre 4 milioni di scudi custoditi nei forzieri, però questo tesoro, di fatto, costituisce quelle che sono le odierne riserve auree e valutarie nazionali, di consistenza adeguata alle esigenze da affrontare.(27) Ciò nonostante, si levano tuttora voci di autorevoli personaggi che esortano a cancellare queste riserve.(28)

Resta il fatto che, nonostante l'accumulo di circa 1 milione di scudi l'anno, forse mai nella storia del papato viene impostato ed in gran parte realizzato un programma di attività in molteplici settori, di proporzioni gigantesche come quello voluto da papa Sisto, che per la parte urbanistico-edilizia trova un formidabile esecutore in Domenico Fontana.

Sisto V si preoccupa anche degli sventurati caduti nelle mani dei pirati. Appoggia infatti le iniziative promosse da quanti s'interessano al riscatto degli schiavi. Concede all'arciconfraternita del Gonfalone parte degl'introiti derivanti dall'appalto del bollo ed elargisce speciali indulgenze a coloro che prendono parte alla processione del 1585, in occasione del rientro a Roma di un gruppo di riscattati.(29)

A semplice titolo di curiosità, rileviamo come nelle vicende di Sisto V si verifichi una frequente ricorrenza onomastica, che trova riscontro nella denominazione di alcune galere:

Felice: è il nome di battesimo impostogli dal padre Peretto;S. Lucia: è la santa festeggiata il 13 dicembre, giorno natale di Sisto. A Grottammare, nel luogo dove nacquero Felice e la sorella Camilla, i due fratelli fanno erigere una chiesa dedicata alla santa, completata dopo la morte del papa;(30)S. Ferma: tale nome ricorda quello della città di Fermo, signora di Grottammare. A questo importante capoluogo piceno, di cui è vescovo dal 1571 al 1577, il papa concede molti benefici: restaura e ristabilisce l'università degli studi; la eleva a sede arcivescovile; etc. Una statua bronzea posta sul palazzo comunale è la testimonianza evidente della riconoscenza dei fermani al papa grottese.(31)

Testimonianze di vario genere sull'opera di Sisto V a favore del naviglio

Se poniamo mente a quanto resta dell'opera dedicata da Sisto V alla marina e lo confrontiamo con ciò che rimane delle opere da lui realizzate in altri campi, all'infuori dello spirituale e del religioso, abbiamo l'ovvia conferma che la caducità è molto più fatale alle flotte che ai palazzi, alle chiese ed alle strade.

Più durature le opere portuali. In parte sopravvivono a Civitavecchia, l'antica Centocelle romana. Il Guglielmotti riporta le iscrizioni poste sul frontale e sui fianchi della fontana alimentata dall'acquedotto di Sisto V e sul palazzo comunale.

Eccole.

Sul frontale della fontana:

URBS VICINA MARIMEDIIS SITIEBAT IN UNDIS NUNC DULCES SIXTI

MUNERE POTAT AQUAS

Sui fianchi della stessa:

SIXTUS V PONT MAX

CENTUMCELLAS AQUAE INOPIA CLASSIS APOSTOLICAE ET

LABORANTES FONTIBUS SUBLEVAVIT NAVIGANTIUM COM FIERI IUSSIT

AN MDLXXXVIII PONT IV

Sul palazzo comunale:

SIXTUS V PICENUS CENTUMCELLAS AQUAE INOPIA LABORANTES

FONTIBUS SUBLEVAVIT MAIESTATE SUA NOBILITAVIT UBI PRO

CLASSIS CONSERVATIONE DECRETA DOTE DECEM TRIREMES IUSSIT

URBEMQUE PRIVILEGIIS ORNAVIT ANNO MDLXXXVIIII (32)

Il papa fa anche coniare una medaglia commemorativa dell'evento. Su una delle facce troviamo l'immagine del papa. Sull'altra la pianta di Civitavecchia con il porto, la darsena, le fortezze e i baluardi. A completamento la scritta:

SIXTUS V PONT MAX AQUA CENTUCELLAS ADDUCTA (33)

Fino a pochi anni fa, a Grottammare, faceva bella mostra di sé sulla spiaggia una discontinua gettata di scogli, la cui paternità era comunemente attribuita a Sisto V.

L'attribuzione risale almeno a metà '800, perché è citata dal Calindri.(34) Ma l'origine è sicuramente anteriore a quella data. Infatti se ne trova traccia in mappette tracciate all'epoca della costruzione del nuovo incasato di Grottammare, tra fine '700 e inizio '800.(35)

Non ci risultano finora venuti alla luce documenti probatori in merito. Di certo sappiamo che Fermo nel 1299 aveva dato corso a lavori portuali a Grottammare.(36)

La costruzione di un porto a Loreto-Porto Recanati e di un altro alla foce dell'Ete è però nei programmi sistini fin dal 1589, ma non viene realizzata.(37)

Abbiamo altre due medaglie, anche queste volute dal pontefice a ricordo dell'entrata in servizio delle prime 5 e delle restanti 5 galere.(38)

Sulla faccia della prima galera è il volto del papa con la scritta

SIXTUS V P. M. AN. III FOELIX PRAESIDIUM 1588.

Sul dorso sono rappresentate cinque galere a vele spiegate, in formazione serrata, tutte volte a destra dell'osservatore.

La seconda ha sempre il volto del pontefice sulla faccia, mentre sul retro sono rappresentati i promontori dell'Argentario e del Circeo, ornati di alberi con la scritta

SIXTUS V P. M. AN. III TERRA MARIQUE SECURITAS 1588.

In campo pittorico abbiamo molte testimonianze dell'interesse di Sisto V per ciò che riguarda il mare. Alcune di queste, o ad esse collegabili, non hanno trovato posto nelle tante mostre allestite in occasione del quarto centenario della morte del papa grottese e ne daremo qui un breve cenno.

A Grottammare, nella chiesa parrocchiale eretta alla fine del XVIII secolo e dedicata a S. Pio V, il quadro posto dietro l'altare maggiore è opera di Jacopo Falconi. Il Serra riteneva, invece, che la tela rappresentasse Sisto V trionfante sulla flotta turca.(39) Le ragioni iconografiche e dedicatorie, che inducevano a pensare che si trattasse del papa eponimo del tempio, sono state confermate recentemente dai risultati di ricerche svolte dallo scrivente.(40)

Due serie di dipinti ben noti conservati nella Biblioteca Vaticana, la prima nel salone e la seconda nel corridoio, ci hanno tramandato l'esaltazione delle opere sistine.

Solo due dipinti si riferiscono direttamente alla flotta, intesa come unità bellica e come organo cui bisogna fornire le risorse necessarie. Alcuni altri, però, illustrano aspetti delle realizzazioni di Sisto V di cui abbiamo fatto cenno. Ci parrebbe opportuno non trascurarli in questa sede, ma lo spazio a disposizione ce l'impedisce.

Nel salone troviamo tre raffigurazioni: le navi della flotta di Sisto V; l'ordine pubblico ristabilito grazie a Sisto V; l'abbondanza procurata dal governo di Sisto.

Nel corridoio troviamo invece: il porto di Civitavecchia; il risanamento delle finanze pubbliche; le alleanze stabilite con i principi cristiani.

Passiamo ora alla carta stampata, limitando la nostra ricerca per ovvi motivi di spazio a due soli autori contemporanei di Sisto, uno scelto tra i maggiori del suo tempo, l'altro tra i minori.

Torquato Tasso, nel corso della sua tormentata ricerca di una via d'uscita ai tanti mali che lo affligevano, si rivolge più di una volta a Sisto V ed al nipote cardinal Montalto, sia in prosa sia in verso. In alcune poesie è chiaramente ricordata l'attenzione del papa ai problemi navali. Riportiamo in appendice 2 la trama di questi sottili fili dispersi nella grande massa delle opere tassiane, insieme a pochi versi di Muzio Pansa.

Francesco Costa ha dedicato recentemente una memoria ai rapporti tra il Tasso e Sisto V.(41)

Nel 1588 appaiono le poesie di un giovane poeta abruzzese, Muzio Pansa, che vuole glorificare le imprese di Sisto V. Tra i tanti motivi ispiratori troviamo: la repressione del banditismo e della pirateria, la costituzione delle riserve auree, la costruzione delle galere, etc. L'autore non è molto conosciuto e le sue opere sono difficilmente reperibili.

Conclusione

Giunti al termine della rassegna delle attività svolte in campo navale da questo pontefice, cui veramente bisogna riconoscere appropriato l'appellativo di sommo, confermato dal termine Sixte-Quint usato in Francia, cerchiamo di sintetizzare in poche righe quanto illustrato più diffusamente in precedenza.

In linea con i principi che ispirarono l'azione di papa Peretti - innovativi e riformatori, ma rispettosi delle tradizioni - la costituzione della squadra permanente della Marina Romana discende naturalmente dall'inquadramento che egli aveva dato all'amministrazione temporale dello stato.

Come per le altre opere da lui volute, i tempi d'approntamento sono contenuti.

La squadra inizia l'attività nell'estate del 1588 e grandi sono le soddisfazioni che dà al papa, fin quasi sul letto di morte. Sopravvive circa vent'anni al suo fondatore, prima di subire mutamenti di tale entità che, pur non cancellando di fatto la marina pontificia, ne stravolgono il concetto informatore.

Si può affermare senza ombra di dubbio che Sisto V, pur senza ottenere eclatanti successi come S. Pio V a Lepanto, consegue sul mare risultati sicuramente positivi. Ciò grazie ai criteri pragmatici con cui affronta il problema della difesa del traffico e delle coste. Criteri che, sostanzialmente identici, troviamo alla base di tutte le sue iniziative e decisioni nei vari campi del potere temporale.

A perpetuare il nome di Sisto V sul mare che lo vide nascere è legata la realizzazione di un porto turistico nel suo paese natale, contraddistinto dal nome del suo figlio più illustre.(42)


NOTE

(1) A. SILVESTRO, Sisto V e la squadra permanente della Marina Romana, «Rivista Marittima», dicembre 1989, pp. 95-106.

(2) Da A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente della Marina Romana. Storia dal 1573 al 1644, Roma 1882, pp. 25-26; G. MORONI, Dizionario d'erudizione storico ecclesiastica, Venezia 1840 ss, vol. XLIII s.v. Marina, pp. 14-37: la ripartizione degli oneri data dall'autore a p. 26 è inesatta; BULLARUM DIPLOMATUM ET PRIVILEGIORUM SS.RR.PP. TAURINENSIS EDITIO, a c. di S. FRANCO e E. DALMAZZO, Torino 1857 e ss, vol. VIII, pp. 859-999.

(3) Da A. GUGLIELMOTTI, La marina pontificia e la guerra dei pirati dal 1500 al 1560, voll. 2, Le Monnier Firenze 1876, cfr. vol. I pp. 4-5 e 48-49, stralciamo i seguenti passi: "corsaro propriamente dicesi colui, che, quantunque privata persona, nondimeno (autorizzata con lettere patenti del suo governo) comanda un bastimento armato, e corre il mare contro i nemici del suo paese. Per estensione dicesi pur corsaro o corsale il bastimento e l'equipaggio. Essi portano la bandiera nazionale; sono soggetti alle leggi dello stato; hanno tribunali che ne giudicano i fatti e le prede ... Al contrario i pirati si pareggiano in tutto con gli assassini: compagnia di ribaldi senza altra legge che il libito, uniti insieme per rubare sul mare senza bandiera, o vero con bandiere bugiarde, senza rispetto di pace e di tregua, senza patenti, senza tribunali: pubblici nemici di tutti, senza pietà, contro il giure di natura e delle genti, persecutori perpetui tanto dei nemici che degli amici, non erano esattamente corsari, come alcuni dicono adesso, sì veramente pirati e ladroni di mare come gli chiamavano i popoli e gli scrittori di allora, se ne togli quei pochi di Francia e di Venezia, che per diversi rispetti di pace e di alleanza, costretti talvolta a dissimulare, davan loro del corsaro, e non intendevano di meno parlare di pirati, descrivendone le opere ladre. L'evidenza dei fatti rimena al giusto il significato della lusinghiera parola ... La principale epoca della grande pirateria corse nel secolo decimosesto, quando ai ladroni fu dato salire sui troni di Barberia e diventare ammiragli di Costantinopoli." Vedansi inoltre: S. BONO, I corsari barbareschi, ERI Torino 1964; R. COULET DU GARD, La course et la piraterie en Méditerranée, France-Empire Paris 1980; A. MASIA DE ROS, Historia general de la pirateria, Mateu Barcelona 1959; J. MONLÄU, Les États barbaresques, Presses Universitaires de France Paris 1964; R. PANETTA, Pirati e corsari barbareschi nel mare nostrum, Mursia Milano 1981.

(4) Citiamo da A. G. COURSE, I pirati dei mari orientali, Milano 1972, pp.8-9, un severo giudizio che, pur riferito ad altra epoca e ad ambito non mediterraneo, mette tuttavia in luce alcuni aspetti senz'altro validi per tutti i predoni: "Gli svantaggi di questa vita erano rappresentati dal rischio della cattura, del processo e della morte per impiccagione. Tale rischio, che non superava l'uno per cento di probabilità, diventava quasi trascurabile se il pirata operava nei mari orientali, ma era una vita di crimini, crudele e degradante, una vita senza ideali. Durante il regno di Elisabetta I alcuni pirati vennero considerati degli eroi; ma non c'è aureola eroica che possa cancellare le loro azioni spregevoli e inumane, l'infelicità, le rovine, i lutti e i dolori causati dalle loro scorrerie."

(5) Le imprese e i successi di Khair ad Din Barbarossa e di tanti altri suoi colleghi (il fratello Arug, Dragut, Ulug Alì, Assan Agà, etc.) sono veramente degni di considerazione. Erano uomini di spiccata personalità, dotati di grandi qualità sia positive, come ampiezza di vedute, audacia, coraggio, determinazione, sia negative, come mancanza di ogni scrupolo, crudeltà e malafede. Erano anche dei grandi marinai. Di fronte avevano avversari che non andavano tanto per il sottile, tra i quali ricordiamo solo Andrea, Giannettino e Gian Andrea Doria, i maltesi e gli stefaniani. Carlo V, dopo gl'insuccessi subiti in Africa nordoccidentale, cercò invano di ottenere l'alleanza di Barbarossa che, legato al Sultano, si unì invece alla Francia. Sarebbe interessante, ma non è certo questa la sede più appropriata, istituire un raffronto tra i successi colti da questi avventurieri e quelli conseguiti dai nostri capitani di ventura del secolo XV, pur essi avventurieri. Tra i tanti che primeggiarono e cercarono di procurarsi un regno, solo Francesco Sforza riuscì a raggiungere l'obiettivo. Dopo una trentina d'anni spesi a guerreggiare per tutta Italia s'insediò a Milano. La famiglia ducale Sforza prosperò per circa mezzo secolo e s'imparentò con famiglie regnanti e con le più nobili casate dell'epoca. Alcuni esponenti dei rami collaterali combatterono sul mare contro i predoni. Tra essi Carlo Sforza di Santafiora, che fu a capo della flotta pontificia dal 1548 al 1555.

Per chiarire meglio il quadro della situazione in Mediterrraneo, citiamo dal Guglielmotti alcune frasi che bollano la doppiezza della politica spagnola: "Battere il turco, ma non abbatterlo; osteggiarlo per zelo di religione, e mantenerlo per freno dei rivali; librarsi tra le due col pretesto di salvare l'armata, e scusare ogni magagna col sospetto dei Francesi. Nella sostanza prevalevano le ragioni di Stato contro i Veneziani, i quali sarebbero divenuti troppo spigliati in Italia, se altri avesseli aiutati a scuotersi di dosso il peso dei Turchi."

(6) C. VERNELLI E ALTRI, Cronaca delle incursioni degli "infedeli" a Senigallia, Proposte e Ricerche n° 20 maggio 1988, pp. 314-338.

(7) A. GUGLIELMOTTI, La marina pontificia e la guerra ..., cit., vol. I pp. 72-73.

(8) A. GUGLIELMOTTI, La marina pontificia e la guerra ..., cit., vol. I pp. 73 e 161-163.

(9) A. MASIA DE RIOS, Historia general ..., cit., pp. 192-193. L'episodio non risulta altrove. Potrebbe essere sorto un equivoco circa la cattura delle galere del Vettori nel 1518.

(10) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., p. 52.

(11) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., p. 25.

(12) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., pp. 26-27. Una conferma indiretta del programma sistino viene fornita da quanto riportato in F. PISTOLESI, Sixtus Quintus Album, Roma 1921, pp. 29-30: "Il Pontefice avrebbe voluto una crociata contro i Turchi e vagheggiò spesso dei colpi di mano contro di loro; ma la realtà della situazione lo richiamava all'Europa, dove occorreva lottare contro l'eresia invadente e salvare, se ancora possibile, il regno d'Inghilterra."

(13) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., p. 38. In proposito vedansi anche altri autori (L. A. MURATORI, Annali d'Italia, edd. varie; G. CICCONI, Sisto V e Fermo, Fermo 1923; etc.).

(14) Per il sito della Marmorata vedansi le piante di Roma di epoca immediatamente anteriore e posteriore a Sisto V citate in bibliografia. Per l'arsenale pontificio cfr. E. MARCONCINI, L'Arsenale pontificio a Ripa Grande, Roma 1991.

(15) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., p. 34.

(16) I bonavoglia prestavano volontariamente servizio come rematori per una paga, tutto sommato, modesta e per alcuni privilegi rispetto agli altri rematori. Erano però al riparo dalle ricerche del bargello: sotto certi aspetti la loro estrazione e la loro condizione è simile a quella dei moderni legionari stranieri in Francia. Nel 1538 il papa cerava di completare gli equipaggi delle sue galere con l'ausilio del vescovo di Senigallia, come ci riferisce Guglielmotti nella sua Guerra dei pirati, pp. 18-19: " ... cercava rematori. Cosa difficilissima quest'ultima, altrettanto che necessaria, perché niun marchigiano né romagnolo voleva mettersi alla viltà del remo, e gli stessi condannati usavano ogni artifizio per sottrarsene coi pretesti o colla fuga. In quella vece di marinari non era difetto, e di slodati tanta abbondanza da sopperire ad ogni richiesta degli arrolatori pontifici e veneziani ..."

(17) A. TENENTI, Piracy and the decline of Venice 1580-1615, Berkeley-Los Angeles, 1967, p. 157 n. 2.

(18) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., pp.48-51; R. PANETTA, Pirati e corsari ..., cit., pp. 255-257: sintetizza le prime operazioni della squadra permanente.

(19) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., pp 55-56. Il fatto di Gaeta rientra tra i purtroppo tanto frequenti episodi d'intolleranza esasperata nel pretendere il rispetto delle precedenze e degli onori, per cui vedasi anche M. NANI MOCENIGO, Storia della Marina Veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica, Ufficio storico della R. Marina Roma 1935, pp. 79-83.

(20) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., pp. 56-57.

(21) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., pp. 58-59

(22) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., pp. 61-82

(23) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., p. 85.

(24) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., pp. 205-228.; M. NANI MOCENIGO, Storia della..., cit., p. 143: questo autore sposta al pontificato di Sisto V ciò che, secondo il Guglielmotti, avvenne nel 1611. "La Marina pontificia fin dal Pontificato di Sisto V era data in assento. L'assento era una forma di contratto che lo stato pontificio stipulava con un privato assuntore". Come ricordano il Moroni ed il Guglielmotti, nel 1605 Paolo V aveva interpellato i cavalieri di Malta per cedere loro in assento cinque galere pontificie, senza però giungere alla formalizzazione del contratto.

(25) C. RESSMANN, Il dramma dell'Invencible Armada, Rivista Marittima, luglio 1988, pp. 89-100; J. L. CASADO SOTO, Barcos y cañones de la Gran Armada de Bazan, Revista General de Marina, numero extraordinario Marzo de 1988; U. LA ROCCA, Armada mia, Il Messaggero ed. Roma, 29 luglio 1988 L. LILLI, Ma Dio salvò la Regina, La Repubblica ed. Roma, 10 agosto 1988; etc.

(26) F. GAUDIOSO, Il servizio navale della Guardia di Finanza, Rivista Marittima, n° 5 maggio 1974, pp. 47-61, in particolare pp. 51-52. Va rilevato pure che Sisto V favorì e potenziò gli ordini militari ed equestri che, tra l'altro, avevano il compito della difesa territoriale lungo la costa. Fatte le debite considerazioni sulla diversa capacità di comunicare tra terra e mare, allora ed oggi, sulla consistenza delle opposte forze e sulle modalità d'intervento, si possono intravedere altre analogie con le operazioni combinate tra componenti navale ed ordinaria della Guardia di Finanza.

(27) F. TOMASSETTI, Le casseforti di Sisto V, Nuova Antologia, 16 giugno 1907.

(28) F. GALIMBERTI, L'Italia venda il suo metallo giallo, Il Sole 24 ore, n°116, 28 aprile 1987.

(29) S. BONO, I corsari ..., cit., pp. 292 e 295; G. CICCONI, Sisto V ..., cit., p. 14.

(30) Gli storici locali hanno dato molte testimonianza sull'argomento, riportate anche in opere di carattere più ampio.

(31) G. CICCONI, Sisto V ..., cit., pp. 49 e ss. Non vanno però dimenticati anche i benefici concessi ad Ancona: con essi il papa cercò di dare maggiore sviluppo al commercio dello stato. A tal fine, oltre alla promozione dell'allevamento del baco da seta e di altre colture e produzioni, confermò i privilegi concessi dai predecessori alla città ed al porto di Ancona, cfr. BULLARIUM ROM.ANUM, cit., vol. VIII pp. 609 e ss, "Meritis vestrae devotionis" dell'8.10.1585 e vol. IX pp. 269-270, "Dudum felicis recordationis" del 10.5.1587. Trattò inoltre accordi commerciali con Venezia, secolare rivale di Ancona, e consentì agli Ebrei di svolgere le loro tradizionali e redditizie attività, cfr. P. GRAZIANI, Sisto V e la sua riorganizzazione della S. Sede, Roma 1910, pp. 30-31.

(32) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., p. 50. Dopo le distruzioni conseguenti ai bombardamenti della 2^ guerra mondiale si sono salvati solo due leoni della fontana, posti ora all'ingresso del Comune.

(33) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., p 51.

(34) G. CALINDRI, Saggio statistico storico del Pontificio Stato, Perugia 1829, p. 279.

(35) Vedasi A. SILVESTRO, Cartografia e iconografia di Grottammare, 1780-1830. Appunti sulla nascita del Nuovo Incasato, in V. RIVOSECCHI, a c. di, Grottammare. Percorsi della memoria, ALDA Grottammare 1994, pp. 31-50.

(36) G. B. MASCARETTI, Documento sull'antico porto marittimo di Grottammare, Archivio storico italiano, 1876; G. B. MASCARETTI, Memorie istoriche di Grottammare, Jaffei Ripatransone 1841, p. XVI; G. SPERANZA, Guida di Grottammare, Nisi Ripatransone 1889, pp. 32-40.

(37) G. CICCONI, Sisto V ..., cit., pp. 29 e 42. Per programmi portuali lungo le coste dal Conero al Tronto v.A. SILVESTRO, A proposito di naufragi sulla costa picena in epoca pontificia, Navigazione e meteorologia nel Medio Adriatico (Protostoria e storia), Convegno - 13 aprile 2002, S. Benedetto del Tronto - Sala consiliare ore 16,30, organizzato dalla Lega Navale, sez. di San Benedetto del Tronto, pubblicato in Cimbas24/2003.

(38) A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente ..., cit., pp. 39-41.

(40) MINISTERO DELL'EDUCAZIONE NAZIONALE, Inventario degli oggetti d'arte in Italia, vol. VIII, provincie di Ancona ed Ascoli Piceno, Roma 1936, pp. 280-281. Per l'iconografia di papa Ghislieri v. A. SILLI, La tela di Grottammare non v'è riportata, ma si possono rilevare notevoli similitudini con le caratteristiche iconografiche del pontefice. Il capo è cinto di aureola. V. anche A. SILVESTRO, Appunti sulla committenza del quadro del Santo eponimo della Chiesa parrocchiale di Grottammare, Comunità, n. 5 maggio 1992, pp. 20-22.

(41) F. COSTA, T. Tasso e le sue rime in lode di Sisto V, S. Francesco patrono d'Italia, n° 2 febbraio 1988.

(42) SOCIETA' PORTO SISTO V, Progetto di porto turistico a Grottammare, Grottammare 1984.

APPENDICE 1

SPECCHIO DELLA SQUADRA PERMANENTE L'ANNO 1588

Prefetto e legato: card. Antonmaria Sauli, di Genova

Luogotenente generale: Orazio Lercari, di Genova

Aiutante generale: Fabio Santacroce, di Roma

La Capitana - San Bonaventura - cap. Lorenzo Castellani di Roma, costruita in Roma

La Padrona - San Francesco - cap. Fulvio Pasio di Bologna, costruita in Civitavecchia

Le sensili

Santa Ferma - cap. Alessandro Pierbenedetti di Camerino, costruita in Civitavecchia;

Santa Barbara - cap. Gabriele Simonetti di Jesi, comprata da privati;

San Giorgio - cap. Giampaolo Orsini di Roma, comprata da privati;

La Felice - cap. Giulio Landino di Bologna, comprata dal granduca di Toscana;

La Pisana - cap. Muzio Frangipani di Roma, comprata dal granduca di Toscana;

S. Maria - cap. Pietro Baglioni di Perugia, comprata a Genova;

S. Lucia - cap. Virginio Spoletini di Terni, comprata a Genova;

S. Gennaro - cap. Tarquinio dell'Osso di Ravenna, comprata a Napoli.

Pagatore: il cap. Vincenzo Stella di Civitavecchia

Provveditore: il cap. Gianmaria Schiaffino di Genova

Munizioniere: il cap. Paolo Magalotti di Firenze

Medico: il dott. Niccolò Ghiberti, lorenese

Idrografo: Bartolomeo Crescenzio di Roma

Nobile di poppa: il cav. Pantero Pantera di Como

marinai: ottanta per ciascuna 800

soldati: cento per ciascuna 1.000

rematori: duecentoventicinque per ciascuna 2.250

totale 4.050

APPENDICE 2

Estratto da M. PANSA, Delle glorie di Sisto V, Roma 1588

.

Nelle Galere nuovamente fatte

correa l'infido Trace

dal vasto Egeo fino à gli Esperij lidi

il bel regno di Venere, e d'Amore;

e con propitij venti, e lieti gridi,

per turbar nostra pace

l'Adria, e 'l padre Tirren con grande horrore.

Lo sà Cuma e Gaeta. Ahi quanto osava?

Ahi quanto ardiva il temerario, e l'empio?

Hor da sì crudo scempio

s'arresta, e teme opra sì ingiusta e prava.

Anzi timido fugge

se pria rabbioso venne;

sentendo come il LEON freme e rugge,

e nuove arme apparecchia, e nuove antenne.

Estratto da T. TASSO, Opere, a c. di B. MAIER, v. II, Milano 1964

(da: Alla santità di papa Sisto V)

...E mentre d'oriente ancor minaccia

il barbaro tiranno ai lidi nostri,

che fuggì dianzi, quasi in caccia,

d'aquile o di leoni artigli o rostri;

e là donde Aquilone il mondo agghiaccia

spargono in noi venen tartarei mostri,

tu al nostro scampo intendi a nessun parco

sprezzando del crudel gli strali e l'arco...

Nei versi di Bianco, poeta di corte e autore di buona parte delle didascalie apposte alle rappresentazioni pittoriche delle opere volute da Sisto V, abbondano riferimenti classici, forzature di espressioni e giochi di parole cari ai poeti barocchi. Non manca però una nota di particolare interesse: l'accenno ai programmi sistini contro i Turchi. Anche Pansa attinge alle memorie del passato per descrivere le terre e i mari esposti alla minaccia dei pirati ma non disdegna un po' di realismo quando descrive i provvedimenti adottati per contrastare gli aggressori. Il lettore moderno, tuttavia, trova difficoltà nella lettura di questi componimenti, rigidamente costruiti. Tasso accomuna i pericoli rappresentati dai Turchi e dai luterani per raffigurare Sisto V, impavido difensore dei cattolici. Indubbiamente la sua espressione è più felice e scorrevole, rispetto a quella di Bianco e Pansa, ma permangono alcune difficoltà di comprensione immediata.

Il tormentato poeta sorrentino riesce, invece, molto più efficace in un sonetto celebrativo di tutta l'opera di Sisto V, che trascriviamo a conclusione di questa nota poiché, pur con qualche involuzione, esprime un giudizio appropriato e sintetico sull'opera del glorioso papa piceno, cui Torquato si è ripetutamente rivolto nella sua disperata ricerca di un rifugio sereno ed ospitale.

Estratto da T. TASSO, Opere, a c. di B. MAIER, v. II, Milano 1964.

Ad Antonio Costantino, in lode di Sisto V

Come alzi Sisto al ciel metalli e marmi,

palagi, tempi e statue d'or lucenti,

e cadute opre già, non pur cadenti,

grandi obelischi, e spalmi legni ed armi,

e raccoglia tesori insieme ed armi,

ed ampie vie drizzi a devote genti,

altre ne faccia ancor d'acque correnti,

e secchi le paludi, in vari carmi,

Costantin, tu ne mostri, e come giusto

ei sia pietoso e santo. Ite omai lunge,

lunge, o profani, omai dai sacri versi;

me nè lingua nè penna al vero aggiunge,

e per sè rari pregi e sè diversi:

son poche mille carte, e 'l tempo angusto.

BIBLIOGRAFIA

Non sono riportate le opere citate nelle note

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