Martedì, 16 Aprile 2024

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La Contesa fra Sisto V e Venezia per Enrico IV di Francia di Italo Raulich (fine XIX secolo)

Una bolla di Sisto V, però, lo escludeva dal trono proprio perché protestante. In questo scenario il papa, avrebbe riaccolto in seno alla Chiesa e ammesso al trono di Francia il Navarra se avesse abiurato in favore della religione cattolica. A tal proposito Sisto V parlando con l'Amasciatore Badoer dirà:
"Ancor noi vogliamo attendere ciò che succederà prima di far alcuna deliberazione, perché chi sa? Potrebbe questo Navarro dare tal saggio di sè che ci bastasse" . (tratto da Dispacci da Roma del Badoer del 9 settembre 1589)
Il 15 ottobre 1589 viene inviato in Francia il cardinale Enrico Caetani come legato pontificio con l'incarico di mantenere i cattolici nell'obbedienza alla Chiesa, di essere neutrale nei confronti delle pretese dei vari principi e soprattutto di non mostrare aperta ostilità verso il re di Navarra fino a che per questi ci fosse qualche possibilità di abiurare la fede protestante.
La Repubblica di Venezia, fiera della propria indipendenza politica dalle decisioni romane, invia al re di Navarra, di diritto successore al trono francese, l'ambasciatore Giovanni Mocenigo con l'ordine di esprimere al re i sentimenti di amicizia e gli omaggi della Repubblica. Le vicende francesi faranno ritardare di oltre un mese l'udienza che Enrico IV concede all'Ambasciatore. Sisto V venuto a conoscenza di questo omaggio al re minaccia rappresaglie nei confronti di Venezia. Il Badoer in un suo dispaccio del 21 settembre così scrive:
"La Santità sua... mi viene riferito haver parlato in questo proposito tanto concitatamente che venne fino a dire che, essendo vero, havrebbe richiamato il Nunzio da Venezia et licenziato me di qua".
L' eco di questa vicenda , aggravata dal fatto che Enrico IV fosse stato definito con il titolo di Cristianssimo induce molti veneziani abitanti a Roma a non mostrarsi in pubblico. I Badoer non si pronuncia prendendo tempo scrivendo così al doge:
"Li buoni sudditi di Vostra Serenità non ardivano comparire, ond'io vivendo al scuro stavo nell'afflittione che può essere pensata, perché se negavo, essendo seguito il contrario haverei perso il modo di difenderlo...et se affirmavo sotto qual si voglia pretesto venivo a confirmar, et accrescere l'indignatione commune".
Il pensiero del Badoer non era in linea con la Repubblica in quanto pensava che questo omaggio potesse causare un'avversione da parte di tutto il mondo cattolico, non avendo contemporaneamente nessun beneficio particolare da Enrico IV e il legarsi alle altalenanti fortune del re potesse solo causare danni, soprattutto se la Lega cattolica avesse prevalso. Vi era anche una forma non rispettata, che sminuiva la dignità di Venezia: era consuetudine che un nuovo principe inviasse ai governi amici un messaggio con un ambasciatore speciale e questi con lo stesso cerimoniale gli inviassero i loro auguri. La prima parte, in questo caso, non era avvenuta, mentre la seconda si, per cui il Badoer reputava che questo vizio fosse sufficiente a revocare gli ordini inviati al Mocenigo. Nonostante queste considerazioni il Senato veneziano seguirà la sua linea, avendo una visione politica più ampia del suo rappresentante romano: lo strapotere spagnolo in Europa e in Italia si sarebbe ulteriormente accresciuto se la Lega avesse prevalso su Enrico IV e la stessa esistenza della Repubblica di Venezia sarebbe stata minacciata e come alcuni cattolici francesi militavano nelle file del re protestante anche Venezia lo condiderò il male minore rendendogli omaggio.
Nonostante gli iniziali accenti minacciosi il Papa usa la prudenza nel trattare con il Badoer, perché in attesa di una eventuale conversione del re francese, non gli conveniva inimicarsi Venezia perché una simile evenienza poteva maldisporre il re. Il Papa chiede al governo veneziano tramite il Badoer se non di cooperare alla conversione del re, almeno di non stringere ulteriori rapporti.
La Spagna, anche tramite la corte romana sulla quale aveva grandi influenze, aveva tutto l'interesse a fomentare il malumore insinuando che come aveva fatto con Enrico III anche con Enrico IV la Repubblica interveniva economicamente. A Venezia il Nunzio Girolamo Matteuzzi, spinto dallo sdegno dell'affronto, incurante delle indicazioni papali compie azioni rischiose dal punto di vista diplomatico:
Il signor De Messe, ambasciatore di Enrico III presso la Repubblica di Venezia, alla morte di questi chiede di essere riconosciuto come rappresentante del nuovo re, in attesa delle nuove credenziali, come avvenuto già in passato dopo la morte di Enrico II e di Carlo IX. Il governo veneziano deroga in parte a questa consuetudine temendo che in manifestazioni pubbliche, che per la maggior parte erano di carattere religioso, si potesse incorrere in inconvenienti diplomatici tra il nunzio apostolico e l'ambasciatore di un re protestante. Il Nunzio Matteuzzi invia al doge Pasquale Cicogna il padre Vincenzo de Frari intimando di non ammettere alla festività del 4 ottobre il De Messe, cosa che susciterà le proteste rappresentate al Papa dal Baroer che riferirà con suo dispaccio del 17 ottobre che le esternazioni del nunzio erano "... non conforme alla sua (del Papa) intentione, mostrandosene più tosto meraviglia.
Il 4 ottobre, festività di Santa Giustina, il De Messe viene pregato di non intervenire con il pretesto che le credenziali non erano state ancora riconfermate. Il 18 agosto arrivano dalla Francia le attese credenziali e il 10 ottobre il Senato ricosce il De Messe come il legittimo rappresentante di Enrico IV. Di un'ulteriore manifestazione di miopia diplomatica si rende soggetto il Nunzio allorché presentandosi al Collegio all'indomani dell'ammissione del De Messe, chiede se era vera la voce delle credenziali arrivate dalla Francia, al che il Doge gli risponde che era compito del Senato rispondere a questa domanda. Il Matteuzzi insoddisfatto della risposta si vede costretto a dare le dimissioni, abbandonando due giorni dopo Venezia per ritornare a Roma, senza congedarsi dal Doge o da qualsiasi altro magistrato della Repubblica. All'arrivo a Roma del nunzio e dai clamori suscitati il Badoer il 20 ottobre invia un dispaccio a Venezia:
"Si è fatto grandissimo strepito qui in Roma doppo la venuta del Nuntio Matheuzzi et quasi tutti credevano che il papa licentiasse anco me et che si fosse già in aperta rottura".
Invece il pensiero di Sisto era l'opposto: una soluzione pacifica dell'incidente per evitare che Venezia si avvicinasse troppo al re francese e che questi di conseguenza perseverasse con maggior vigore nell'eresia.
Lo stesso governo di Venezia auspicava un riavvicinamento ribadendo la fedeltà alla religione cattolica pur avendo riconosciuto Enrico IV come legittimo re di Francia. Invia per questo motivo un esperto diplomatico, assertore dei diritti dello Stato contro le ingerenze pontificie,Leonardo Donato, già inviato al Papa nel 1585 come oratore per rendergli omaggio a nome della Repubblica.
Il 17 ottobre il Badoer, benché malato, si reca a Sermoneta dove si trovava il Papa per annunciargli l'arrivo dell'ambasciatore straordinario e anche in quest'occasione Sisto ribadisce il desiderio di non arrivare a ferri corti con Venezia auspicando un suo ruolo importante nel riavvicinamento del re francese. Viene fatta un' apertura da parte del papa riconoscendo lecita l'accoglienza di un ambasciatore francese rappresentante del re di Navarra presso la Repubblica, ma non di uno che rapprentava il re di Francia considerando quest'ultima ipotesi un'offesa all'autorità apostolica. E' un passo importante, inizialmente tramite il nunzio Matteuzzi vi era una chiusura toale a qualsiasi inviato francese, ora invece lo si accettava a patto che non si professasse ambasciatore del re di Francia. Il Badoer risponde riconfermando la vocazione cattolica del suo Stato e riaffermando che nè con opere nè con consigli Venezia avrebbe aiutato il re e che sarrebbe stato poco opportuno rivolgergli scortesie gratuite, quali il non riconoscimento del titolo di re di Francia, visto che Enrico III lo aveva nominato suo successore, l'esercito lo aveva acclamato e la nobiltà e alte gerarchie ecclesiastiche lo avevano riconosciuto.
Sempre il 17 ottobre arriva a Roma il Matteuzzi, creando gravi imbarazzi al Papa che era conscio che gli ordini, al di là della forma, erano da lui partiti e per pregiudicare i contatti con i Veneziani ordina al Nunzio tramite il Cardinal Montalto di rimanere in casa e di non parlare con nessuno. Il Badoer in un suo dispaccio del 20 ottobre così scrive:
"...Ma dopo il mio ritorno s'è divulgato il buon trattamento fattomi dal Papa et la continentia della lettera scritta del signor Cardinale Montalto al Nontio predetto che S.S. habbia havuto molto dispiacere della sua venuta et che egli non si parta di casa ne parli con alcuno, per intanto stia assai retirato...".
In un altro dispaccio del 21 ottobre l'ambasciatore riferisce che durante un'altra udienza il Papa esprime il rammarico per l'atteggiamento del Nunzio, condannandone l'abbandono della nunziatura senza attendere ulteriori direttive, ordinando altresì che il nunzio partisse la notte stessa per la sua sede per esercitare il suo officio.
Come ulteriore gesto distensivo il Papa, modificando le precedenti dichiarazioni, non condanna i contatti del governo veneziano con Enrico IV re di Francia (non più solo di Navarra) considerando un'offesa all'autorità apostolica solo la presenza riconosciuta su suolo veneto di un ambasciatore francese.
Il fine ultimo di tanta arrendevolezza era l'idea della conversione del re francese alla cui realizzazione un ruolo importante poteva essere svolto dai veneziani. Alla notizia del ridimensionamento dell'attività svolta dal nunzio, la parte della curia romana che risentiva delle influenze della Spagna ebbe un moto di risentimento e lo stesso ambasciatore spagnolo, vedendo in queste trattative un'attività antispagnola, esprime al Papa quelle che possono essere intese come vere e proprie minacce: se l'ambasciatore francese fosse stato ammesso come gli altri nelle cerimonie religiose o in qualche altra pubblica solennità, si poteva essere certi che Filippo II avrebbe richiamato il suo diplomatico da Venezia e licenziato quello stante in Spagna e lo stesso avrebbe fatto il duca di Savoia.
Il 23 ottobre Sisto riunisce la Congregazione preposta agli affari della Francia relazionando le motivazioni delle sue decisioni: Il Matteuzzi era stato rimandato a Venezia non solo perché era di lì partito in contrasto con le istruzioni ricevute ma anche perché tutto induceva a credere che la Repubblica non avrebbe accordato il diritto di residenza all'ambasciatore di Enrico IV. Qualora il governo veneziano avesse disatteso questo atto di rispetto nei riguardi dell'autotità apostolica il Nunzio sarebbe stato richiamato e i due ambasciatori espulsi.
Ovviamente queste decisioni erano state prese per non scontentare troppo gli spagnoli, il Badoer protesta con i due cardinali della Congregazione che si erano recati da lui per annunciargli i propositi del papa, insistendo sulle conseguenze che si potevano generare. Allo stato delle cose, visto il vigore delle argomentazioni spagnole, che avevano il loro peso rilevante, i pochi amici della Repubblica presso la corte pontificia consigliavano che il Doge facesse qualche dichiarazione, compatibilmente con la dignità del suo Stato, tale da stemperare l'asprezza al dissidio, il Badoer il 24 ottobre si adopera per questa soluzione presso il suo governo, ma già nel dispaccio del 28 ottobre registra che in Concistoro il papa " assicurava tutti che sebene con estremo dispiacere non resteria però mai di far ogni dimostrazione contra chi lo merita per conservare l'autorità sua et di fare il servizio di Dio...ma che forsi vorrà Sua Divina Maestà provveder a tanti disordini con far seguire meglior deliberatione della seguita fin'hora". Il luogo, il Concistoro,e le parole davano al problema una connotazione tale che il ritornare eventualmente in dietro sarebbe stato molto difficile. Nonostante tutto il Badoer nel dispaccio del 30 ottobre così scrive: "tengo per fermo che il Pontefice desideri poter con honor suo et con qualche iscusatione appresso gl'altri terminar questi rumori et non cagionar nel mondo maggior intrichi",alla luce di queste convinzioni l'ambasciatore insiste presso il suo governo affinché escluda il rappresentante di Enrico IV dalle cerimonie religiose. Il Senato delibera che il De Messe non partecipi alla festa di Ognissanti.
E' da notare che questa delibera porta la data del 26 ottobre, quindi precedente alle insistenze inviate da Roma il 24 ottobre dal Badoer, per cui questa decisione viene partorita dal Senato come una misura prudenziale stante il dissidio ancora in corso.
Inizialmente il Pontefice si rallegra con il Badoer della decisione presa, cosa riferita nel dispaccio del 4 novembre, ma poi ricomincia a contestare la residenza sul suolo della Repubblica del De Messe, esigendone l'espulsione minacciando in caso contrario "censure spirituali". Il Badoer l'11 novembre così scrive "..non contentandosi della risolutione della Ser.tà Vostra di non invitare nelle cerimonie l'ambasciatore di Navarro voleva che esso fosse licenziato" altrimenti "haverebbe passato oltre a monitorij".
Il 18 novembre arriva a Roma l'Ambasciatore straordinario di Venezia con il compito di sostenerne le ragioni e difenderne la dignità. Prima ancora che fosse ricevuto dal Pontefice viene riferito ai due ambasciatori che un certo numero di senatori avevano richiesto l'assoluzione apostolica per aver partecipato alla seduta nella quale veniva deliberata l'ammissione del De Messe pur avendo dato voto contrario a quella proposta. Questa nuova notizia, che l'ammissione dell'Ambasciatore del re di Francia era stata approvata con una maggioranza esigua, sprona il Pontefice a prevedere che, una forte insistenza, avrebbe fatto revocare la decisione del Senato veneto. La notizia risultò falsa, rafforzata anche da alcune considerazioni:
-I presunti senatori, firmatari della richiesta di perdono, non dovevano chiedere niente avendo loro votato in modo contrario, e sfidare l'ira dello Stato veneziano per farsi perdonare un peccato non esistente, era pura ingenuità -l'atto, come si riscontrerà, era stato approvato quasi all'unanimità.
Si conclude che era in atto un tentativo di esacerbare l'animo di Sisto e indurlo a pretendere di far valere le proprie ragioni.
Il 25 novembre i due ambasciatori vengono ammessi all'udienza del Papa e il Donato esprime le posizioni del suo governo in modo pacato e rispettoso. Il dispaccio che dettagliava l'incontro viene spedito a Venezia (pag.279-287 del volumetto del Raulich).
Sisto, dopo le recriminazioni, espone le sue ragioni: innanzitutto non si poteva ritenere legittimo Enrico di Navarra, non essendo stato coronato, nè eletto dagli Stati Generali, nè accolto nella città reale che gli era avversa, ma solo acclamato dall'esercito, ma la cosa più rilevante era l'interdizione a regnare emanata da Sisto stesso. Quindi deplorava il comportamento di Venezia sia dal punto di vista religioso che politico, notando che come era stato fatto per il diplomatico della Lega che, presentandosi come rappresentante della Corona di Francia, non era stato ricevuto se non dopo la rinunzia di questo titolo, così non era stato fatto per il De Messe.
La conclusione del discorso di Sisto, era, che pur gradendo la delibera che non ammetteva il De Messe alle pubbliche cerimonie, che la Santa Sede non si riteneva soddisfatta esortando gli ambasciatori a trovare qualche espediente perché la questione si potesse risolvere per evitare le rappresaglie e le pene che i sacri canoni imponevano.

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